Costruì con le proprie mani la prigione in cui per oltre due anni fu tenuto il piccolo Giuseppe Di Matteo, 13 anni e l’unica ‘colpa’ di essere il figlio del collaboratore di giustizia Matteo Santo. Oggi Giuseppe Costa torna in carcere con l’accusa di associazione mafiosa. Fu lui, secondo quanto emerse dalle indagini sul sequestro e poi l’uccisione per strangolamento del bambino, a erigere materialmente la sua cella. Il piccolo fu poi sciolto nell’acido.
L’operazione dei carabinieri del Comando Provinciale di Trapani e del personale della Direzione Investigativa Antimafia, è avvenuta in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Palermo, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, per associazione a delinquere di tipo mafioso in quanto appartenente a Cosa Nostra.
I militari, alle prime luci dell’alba, hanno perquisito anche l’abitazione di Costa, in località Purgatorio di Custonaci (Trapani), dove lo stesso aveva realizzato in muratura la prigione del bambino. «L’uomo, durante la lunga detenzione (dal 1997 al febbraio 2007) ha ricevuto il sostegno economico del sodalizio mafioso senza mai collaborare con gli inquirenti – dicono gli inquirenti .- Subito dopo la scarcerazione, ha rinsaldato le sue relazioni con i vertici dei mandamenti di Trapani e Mazara del Vallo per l’aggiudicazione di appalti, le speculazioni immobiliari, risoluzione di dissidi tra privati, l’attività intimidatoria, il riparto di proventi di denaro ricavati da attività illecite, nonché ha partecipato alla mobilitazione mafiosa per le elezioni regionali dell’autunno del 2017 e assunto il ruolo di controllore e tutore degli interessi di Cosa Nostra su un impianto di calcestruzzi della provincia trapanese».
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venerdì, 18 Dicembre 2020 - 09:41
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