Rosario Livatino sarà beato: il riconoscimento del Papa per il giudice ‘ragazzino’ trucidato dalla mafia 30 anni fa

Rosario Livatino

Un giovane magistrato integerrimo trucidato dalla mafia. Un martire della lotta alla criminalità, uomo di fede e di giustizia che ha incarnato non solo i valori della legalità ma anche del cattolicesimo. Rosario Livatino aveva 37 anni il 21 settembre del 1990, quando fu assassinato ad Agrigento su ordine della ‘Stidda’. Ieri papa Francesco ha annunciato che il ‘giudice ragazzino’, come fu definito, sarà beato. Le sue opere vanno oltre l’impegno nella professione, l’onestà, saranno esempio di rettitudine e martirio. Di Livatino, nato a Canicattì il 3 ottobre 1952, la Santa Sede ha infatti riconosciuto il martirio “in odium fidei” (in odio alla fede). E’ questo il contenuto di un decreto di cui papa Francesco ha autorizzato la promulgazione, nel corso di un’udienza col cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione per le Cause dei santi.

L”intestazione del decreto recita esattamente che viene riconosciuto «il martirio del Servo di Dio Rosario Angelo Livatino, Fedele laico; nato il 3 ottobre 1952 a Canicattì (Italia) e ucciso, in odio alla Fede, sulla strada che conduce da Canicattì ad Agrigento (Italia), il 21 settembre 1990».  La prova del martirio “in odium fidei” del giovane giudice siciliano, secondo fonti vicine alla causa, è arrivata anche grazie alle dichiarazioni rese da uno dei quattro mandanti dell’omicidio, che ha testimoniato durante la seconda fase del processo di beatificazione (portata avanti dall’arcivescovo di Catanzaro, monsignor Vincenzo Bertolone, agrigentino e Postulatore della causa) e grazie alle quali è emerso che chi ordinò quel delitto conosceva quanto Livatino fosse retto, giusto e attaccato alla fede e che per questo motivo, non poteva essere un interlocutore della criminalità. Andava quindi ucciso.

 Non è un caso che, come emerge dalle sentenze dei processi sulla morte del giudice, importanti esponenti locali di Cosa Nostra, quando Livatino era ancora in vita, lo etichettassero come “uno scimunito”, un “santocchio” (un bigotto) perché frequentava assiduamente la parrocchia di San Domenico, a pochi passi dalla casa in cui viveva con i genitori.
    Una testimonianza quella del mandante, resa a News Mediaset, che è risultata decisiva così come quella di uno dei quattro esecutori materiali del delitto, Gaetano Puzzangaro, che quel 21 settembre era alla guida dell’auto che speronò la vettura del “giudice ragazzino” e che già in passato aveva deciso di rilasciare alcune dichiarazioni per la fase diocesana del processo. Puzzangaro ha trovato anche il coraggio di esporsi pubblicamente e intervistato da Tgcom24 si è detto «assolutamente pentito interiormente per quel gesto compiuto in gioventù; quella mattina speravo con tutto il mio cuore che il dottore Livatino facesse un’altra strada».    

Dopo la sua morte, nel 1993, Giovanni Paolo II, incontrando ad Agrigento i suoi genitori, aveva definito Livatino «un martire della giustizia e indirettamente della fede». Anche Papa Francesco, che ha molto sostenuto la causa di beatificazione aperta nel 2011, ha lodato la figura del magistrato: incontrando nel novembre del 2019 i membri del “Centro Studi Rosario Livatino”, lo ha definito «un esempio non soltanto per i magistrati, ma per tutti coloro che operano nel campo del diritto: per la coerenza tra sua fede e il suo impegno di lavoro, e per l’attualità delle sue riflessioni».
La cerimonia di beatificazione di Rosario Livatino potrebbe svolgersi nella primavera del 2021 proprio ad Agrigento.  

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mercoledì, 23 Dicembre 2020 - 14:12
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