Il giorno dopo agli Usa tocca fare i conti con quanto accaduto al Campidoglio di Washington. E per Donald Trump la strada che si prospetta non sarà affatto semplice. Joe Biden è stato proclamato dal Congresso il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America e l’ufficiale incoronazione, che mette fuorigioco il tycoon, segna anche un cambio di passo nel suo ‘registro’ moderato.
Se fino all’altra sera, quando all’interno di Capitol Hill impazzava un’insurrezione mai vista, Biden si rivolgeva in modo quasi paterno ai manifestanti e invitava Trump a fermare i suoi sostenitori, adesso il neo presidente punta in maniera netta e decisa l’indice contro il suo predecessore per quanto accaduto: «Ha incitato la folla perché attaccasse il Campidoglio, l’assalto alla democrazia», ha detto in un discorso a Wilmington durante il quale ha annunciato la nomina del giudice Merrick Garland a ministro della Giustizia. L’intenzione di Trump, ha denunciato Biden, era di «minacciare i rappresentanti eletti del popolo di questa nazione ed anche il vice presidente, di impedire al Congresso di ratificare la volontà del popolo americano e le elezioni libere e corrette».
Per Trump si mette male. E lo sa anche lui. Non a caso dopo una resistenza durata 2 mesi (a partire da quel 3 novembre che ha visto Biden prevalere) ha finalmente riconosciuto la vittoria dell’avversario («la nuova amministrazione sarà inaugurata il 20 gennaio») e ha pure stigmatizzato quanto accaduto in Campidoglio parlando di «attacco atroce» che lo ha lasciato «indignato dalla violenza, dall’illegalità e dal caos». Parole di resa.
Che però non cancellano le ombre sul suo ruolo in questa storia: poche ore prima dell’assalto, parlando ai suoi sostenitori, Trump aveva invitato tutti a ‘combattere’ perché – ha insistito sino all’ultimo – il risultato elettorale era stato viziato. Proprio quest’arringa rischia di costargli caro: c’è, infatti, chi ha chiesto l’impeachment di Trump ed ora si valuta il da farsi. I legislatori di entrambi i principali partiti americani hanno sollevato la prospettiva di estromettere Donald Trump dall’incarico di presidente che durerà fino al 20 gennaio. Il presidente della Camera, Nancy Pelosi, ha affermato che se Trump non sarà rimosso, il ramo del Parlamento sotto la sua direzione potrebbe andare avanti con una seconda richiesta di impeachment. Sebbene Trump abbia meno di due settimane di carica da completare, i legislatori – e persino alcuni nella sua amministrazione – hanno iniziato a discutere la questione, dopo che il presidente uscente prima si è rifiutato di condannare con la forza il violento assalto al Campidoglio da parte di una folla di suoi sostenitori, poi è sembrato quasi giustificarlo (questo prima delle dichiarazioni di ieri). Per rimuovere Trump c’è anche chi ha invocato un’alternativa più semplice e veloce all’impeachment (che ha tempi più lunghi delle due settimane che restano al presidente uscente): applicare il 25esimo emendamento della costituzione, secondo cui il vicepresidente può prendere i poteri del Commander in chief come facente funzioni nel caso il presidente muoia, si dimetta o abbia una incapacità fisica o psicologica manifesta. L’ultimo sarebbe il caso di Trump. Ma è necessario il consenso del vicepresidente e della maggioranza del governo. Se poi il presidente si oppone alla sua rimozione, la decisione spetta alla Camera (in mano ai dem), che deve approvare la decisione con due terzi dei voti. Camera dove pero’ la maggioranza del partito repubblicano ha sostenuto le richieste di Trump di contestare i voti di alcuni Stati, assecondando le sue accuse di elezioni fraudolente. L’ipotesi è comunque al vaglio di molti nell’amministrazione e in Congresso.
Intanto cadono le prime teste. Il capo della polizia di Capitol Hill, Steven Sund, ha rassegnato le dimissioni che saranno effettive dal prossimo 16 gennaio. Duramente criticato per la risposta all’irruzione dei sostenitori di Trump in Congresso, Sund aveva divulgato una nota descrivendo l’attacco come «una cosa mai vista» nei suoi 30 anni di servizio a Washington Dc e ammettendo che la polizia del Capitol non era preparata. La Speaker della Camera, Nancy Pelosi, ha chiesto le dimissioni di Sund così come il sindacato di polizia.
Muove, invece, i primi passi l’inchiesta aperta sugli scontri. Secondo quanto riferito dall’ufficio del procuratore generale di Washington Dc, ci sarebbero già una decina di incriminati. I primi due ad essere stati rinviati a giudizio sono Christopher Alberts e Jefferson Leffingwell, per possesso di armi e munizioni durante l’incursione in Congresso. Secondo quanto dichiarato dal funzionario di polizia Daniel Amendola, Leffingwell lo avrebbe «ripetutamente colpito con il pugno chiuso» sull’elmetto e sul petto mentre cercavano di fermarlo. L’uomo si sarebbe poi scusato con gli agenti.
L’avvocato di Leffingwell ha detto che il suo assistito è un veterano disabile che soffre di perdita di memoria. Michael Sherwin, procuratore ad interim di Washington Dc, ha precisato di aver mosso accuse contro 55 individui coinvolti nelle violenze e di essere pronto ad incriminare non solo quelli che sono entrati al Capitol ma anche gli istigatori. Una precisazione che suona come un avvertimento a Donald Trump. «Tutte le opzioni sono sul tavolo. E’ una situazione fluida ma continuiamo a perseguire accuse per tutti i reati federali sulla base di prove – ha detto durante una call con i cronisti – muoveremo le accuse più gravi possibili sulla base dei comportamenti». I capi d’imputazione spaziano dall’incursione armata all’insurrezione.
venerdì, 8 Gennaio 2021 - 03:15
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