La retorica di Conte: «Mi dimetto però resto per salvare il Paese». Ma la strada verso il ‘terzo atto’ è ancora in salita

Genny Di Virgilio mostra la statuina del premier

A fotografare perfettamente l’attuale situazione politica italiana è stato il presepista napoletano Genny Di Virgilio che ha dedicato una nuova statuina del presepe al premier dimissionario Giuseppe Conte. L’artista lo ha immaginato con una valigia in mano e un cartello nell’altra, su cui è scritto ‘Vado e torno’. Geniale semplificazione, come solo i napoletani sanno fare, di quel che resta del Conte bis e di quel che vuole essere il Conte ter. Il presidente del Consiglio, infatti, consegnando il proprio incarico nelle mani di Mattarella e aprendo per la prima volta da quando è alla guida del Paese una crisi di Governo, non ha aperto altre strade che non siano la sua riconferma. Punta al Conte ter, punta a consolidare la sua raccogliticcia maggioranza (copyright Matteo Renzi) a costo di imbarcare transfughi da ogni polo a disposizione, e continua a difendere la propria posizione.

Esemplificativa del fatto che Conte non ha nessuna voglia di fare la valigia e lasciare spazio a un esecutivo con un altro leader, è l’irrituale lettera che ha pubblicato su Facebook per spiegare agli italiani quanto sta accadendo. Irrituale, perché mai era accaduto che un premier dimissionario parlasse al Paese con un messaggio prima di rivolgersi, al termine delle consultazioni, alle Camere. Irrituale perché il post contiene già al suo interno – al netto della retorica – la soluzione del rebus: restare al comando. E farlo con una truppa di moderati (liberaldemocratici e ambientalisti europei sarebbe il nome del nuovo gruppo).

«Le mie dimissioni sono al servizio di questa possibilità – ha scritto –  la formazione di un nuovo governo che offra una prospettiva di salvezza nazionale. Serve un’alleanza, nelle forme in cui si potrà diversamente realizzare, di chiara lealtà europeista, in grado di attuare le decisioni che premono, per approvare una riforma elettorale di stampo proporzionale e le riforme istituzionali e costituzionali, come la sfiducia costruttiva, che garantiscano il pluralismo della rappresentanza unitamente a una maggiore stabilità del sistema politico».

Posto dunque che Conte vuole ‘andare e tornare’, qual è l’attuale situazione, ancorata come è noto ai numeri risicatissimi della maggioranza? La strada del reincarico, nel giorno delle dimissioni, appare in salita. Troppo distruttiva la critica di Matteo Renzi a Conte per sperare in una ricucita dei rapporti. Renzi, se potesse, al Quirinale indicherebbe il nome di un altro premier. Lui per ora inverte l’onere della prova e sfida Conte a mostrare di potersi riprendere Iv in maggioranza. La condizione è «cambiare nel metodo e nel merito». Come a dire: un ruolo di Conte ridimensionato rispetto ai partiti della sua maggioranza e pari peso di Iv.

Conte deve però riuscire a allargare la maggioranza arrivando, in Senato – lì dove rischia – a 161 senatori. Dieci senatori hanno già fatto nascere il gruppo ‘Europeisti-Maie-Centro democratico’ , che potrebbe costituire l’agognata ‘quarta gamba’ della maggioranza. Si tratta però di senatori che avevano già votato a favore di Conte la scorsa settimana, che fanno parte dei 153 (perché il voto dei 3 senatori a vita che hanno dato la fiducia martedì scorso va escluso visto che non partecipano a tutte le votazione) che della sua ‘squadra’. Servono nuovi ingressi, nuovi responsabili di cui Conte è a caccia disperata. Se non si arriverà ad almeno 161 senatori, la strada di Conte sarà sbarrata. Il premier, sopravvissuto alla crisi del Papeete, potrebbe cadere sotto i colpi di Renzi e per l’Italia si aprirebbero tre strade: la via di un esecutivo tecnico di transizione, formato da forze politiche volenterose; la via di un Governo tecnico; la via delle elezioni.

mercoledì, 27 Gennaio 2021 - 09:51
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