L’ultima mossa, sullo scacchiere della crisi, l’ha piazzata Matteo Renzi che alla fine ha potuto annunciare il suo scacco matto a Conte. Niente terzo incarico al premier uscente, Pd e Movimento Cinque Stelle messi all’angolo, con il partito di Luigi Di Maio costretto pure a fare i conti con una scontata emorragia di parlamentari e quello di Zingaretti costretto a inseguire le mosse del leader di Italia Viva. Ma anche l’alleanza di centrodestra esce sofferente dalla svolta finale della crisi di Governo.
Quando Sergio Mattarella termina il colloquio con Roberto Fico, presidente della Camera che ha avuto due giorni per sondare la maggioranza, ricucirla e tenere in vita Conte, il quadro era ormai chiaro. Falliti i tentativi di incollare i pezzi, mandati all’aria dall’intransigenza di Italia Viva su alcuni punti come il Mes, la giustizia e la ‘cacciata’ di uomini chiave del Movimento Cinque Stelle e dello stesso Conte, era ormai palese che l’unica scelta possibile da parte del Colle fosse un Governo affidato ad un personaggio di prestigio e con un esecutivo tecnico. Il nome di Draghi, che come un fantasma aleggiava su Conte da mesi, era quello predestinato. E infatti sarà l’ex presidente della Bce, questa mattina, a salire al Quirinale per avviare il suo mandato esplorativo e tentare l’ultima carta che scongiuri un ritorno anticipato alle urne. Elezioni che Mattarella ‘sconsiglia’ apertamente, nel suo intervento, vista la pandemia ancora in corso e il rischio di mesi di immobilità e instabilità che l’Italia, soprattutto a livello europeo, non può permettersi.
La debacle di Di Maio & Co.
La posizione del Movimento Cinque Stelle è subito chiara: non voterà il ‘nemico’ Mario Draghi, l’uomo delle istituzioni europee avversate dai grillini ai tempi della lotta alla Casta. Ma la posizione dei pentastellati non è indolore. Il fallimento della trattativa con i renziani e il Pd ha infatti spaccato il movimento che oggi si ritrova con cinque correnti al suo interno: quelli vicini ad Alessandro Di Battista, gli ortodossi che aspirano a un ritorno alle piazze; quelli fedeli a Luigi Di Maio, più propensi a restare ‘nel palazzo’; quelli che aderiscono alla linea di Roberto Fico, vicini alle posizioni del centrosinistra e dunque a restare nel Governo; quella dei contiani, i moderati che non disdegnano il sostegno a Draghi, quella spostata verso il centrodestra, palesatasi ieri con l’uscita dal movimento del deputato Emilio Carelli. Divisioni a parte, i Cinque Stelle propendono per il no a Draghi come ha chiarito il capo politico Vito Crimi: «Il Movimento – ha scritto su Facebook – non voterà un Governo tecnico presieduto da Mario Draghi». Ma è chiaro che, al di là della linea dettata da Crimi, il movimento si sta sgretolando e gli esponenti di palazzo subiscono l’avanzata dell’ala oltranzista, pronta a riprendersi il partito e riportarlo alle origini.
Il rebus del centrodestra
A subire il contraccolpo della decisione di Mattarella di affidare l’incarico esplorativo a Mario Draghi sarà però anche il centrodestra, che nella crisi di Governo non ha saputo approfittare dello scombussolamento creato da Renzi nella maggioranza per trovare una vera coesione e che ora si trova diviso sul nome dell’ex presidente della Bce. Matteo Salvini ieri sera invocava in tv le elezioni: questa la posizione ufficiale del leader della Lega che non trova però completa adesione nelle retrovie del Carroccio. Diversi big della Lega, in primis il braccio destro di Salvini Giorgetti, potrebbero far cambiare idea all’ex ministro dell’Interno. La linea leghista resta comunque, al momento, quella del «non si possono evitare per sempre le elezioni», che è poi quella di Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia). Una posizione intransigente, con cui l’alleato leghista dovrà fare i conti per non spaccare il polo anche se il rischio spaccatura, da ieri sera, è dietro l’angolo. Forza Italia infatti si smarcherebbe dalla posizione degli alleati, aprendo ad un nome prestigioso come quello di Draghi e spingendo per un sostegno anche da parte del centrodestra: quel ‘Governo dei migliori’ che da giorni il leader Silvio Berlusconi va auspicando. Un esecutivo di salvezza nazionale che verrebbe appoggiato anche da Giovanni Toti (Cambiamo!). Con questo quadro, nei prossimi giorni non sarà solo Mario Draghi a dover sondare la maggioranza ma anche Matteo Salvini a dover ricucire strappi e mettere d’accordo le diverse anime (anche del suo partito) per evitare una implosione del centrodestra.
L’immobile Pd
Sconfitto dalle mosse di Matteo Renzi, alla fine rilevatesi tutte azzeccate ai fini del suo gioco, il Partito Democratico è stato ancora una volta messo in scacco dal leader di Italia Viva. Lo stesso che, all’epoca della nascita del Governo giallorosso, poche ore dopo il giuramento dei suoi ministri (ancora tesserati Pd) annunciò la nascita di Italia Viva conquistandosi senza sforzi ben due dicasteri. Anche stavolta, il Pd non ha saputo tenere testa al senatore di Rignano che ha aperto una crisi al buio e giocato a carte coperte fino allo scacco matto. Rispetto al primo Governo Conte, in cui la Lega riuscì a succhiare consensi ai Cinque Stelle, il Pd nel Governo Conte bis non ha saputo vampirizzare l’alleato, anzi. Ha perso qualcosa, e ancora altro perderà se scenderà in campo Giuseppe Conte col suo partito, dicono i sondaggisti. Tentennando e tenendo un profilo basso, il partito di Zingaretti ha dato la possibilità a Renzi di fare il gioco sporco e ai Cinque Stelle di restare sulle barricate senza cedere di un millimetro su Mes, giustizia, reddito di cittadinanza etc. Incapace di mediare, il Pd alla fine ha assistito alla svolta, decisa dal Colle che ancora una volta ha compensato l’immobilismo democratico. Una svolta di nome Mario Draghi che, alla luce delle recenti mosse di Zingaretti & Co., non era quella più gradita. Così ora i Dem si ritrovano col cerino in mano: possibile Governo di tecnici a guida Draghi e Italia Viva ancora decisivo, mentre i compagni di viaggio del M5s vanno in frantumi.
mercoledì, 3 Febbraio 2021 - 08:36
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