Nuovi guai per il governatore della Lombardia Attilio Fontana. Il leghista alla guida della Regione che peggio ha sofferto la pandemia, al centro da un anno di polemiche e da un anno protagonista di rivendicazioni sulla buona sanità lombarda, spesso purtroppo smentite dai fatti, incappa in un altro ostacolo giudiziario. Dopo le indagini su una presunta frode in pubbliche forniture, ecco il secondo capitolo: si indaga su Fontana anche per autoriciclaggio e falsa dichiarazione in voluntary disclosure ( “collaborazione volontaria”, ovverp lo strumento che il fisco mette a disposizione dei contribuenti per regolarizzare la propria posizione fiscale). Con una richiesta di rogatoria internazionale in Svizzera chiesta dai magistrati milanesi sul conto corrente del presidente lombardo per completare la documentazione sulla voluntary disclosure del 2016 per «approfondire alcuni aspetti finanziari».
In particolare, Guardia di Finanza e inquirenti hanno nel mirino i 5,3 milioni di euro depositati da Fontana su un conto svizzero e su alcuni movimenti finanziari compiuti. Stando a quanto emerso, quel conto sarebbe legato a un trust costituito alle Bahamas (paradiso fiscale) nel 2005 a nome della mamma, deceduta nel 2015, del governatore; su quel conto sarebbe confluito un altro patrimonio, proveniente da un trust del 1997 costituito a Nassau, per 5 milioni di euro, anch’essi scudati e poi trasferiti in una banca di Lugano.
Secondo i magistrati il reato commesso darebbe il falso nella voluntary disclosure circa l’origine di quei soldi; poi c’è l’autoriciclaggio, riferito al reimpiego di quelle somme considerate frutto di evasione, dal 2015 in poi.
«Il comunicato della Procura della Repubblica – dichiarano i legali di Fontana Jacopo Pensa e Federico Papa – dà conto della volontà del Presidente Fontana di non lasciare ombra alcuna in ordine alla procedura della Voluntary, su cui i magistrati intendono fare chiarezza definitiva». Il governatore è pronto a spiegare tutto ai magistrati, dunque, ma è sicuro che questo nuovo capitolo giudiziario getta una nuova ombra sul leghista travolto dall’inchiesta sui camici. Inchiesta da cui del resto tutto è partito.
Una fornitura di 75mila camici, di mascherine e altri dispositivi di protezione per i medici ceduti dalla società del cognato di Fontana, Andrea Dini, e acquistati dalla Lombardia. Una donazione, secondo le carte ufficiali, dunque un’operazione regolare tranne che per un dettaglio: un bonifico di 250mila euro dal conto in Svizzera a Dini, bloccato dall’Uif (l’Intelligence finanziaria italiana) perché considerato sospetto.
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giovedì, 1 Aprile 2021 - 10:18
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