Elena Gioia e Giovanni Limata, i due fidanzatini accusati di avere ordito il piano diabolico per uccidere il padre di lei, il 53enne Aldo Gioia, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere dinanzi al giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Avellino. Da due giorni i due sono in carcere, accusati di omicidio. Secondo gli inquirenti Elena, 18 anni appena, si sarebbe resa complice dell’agguato mortale al padre compiuto dal 23enne Giovanni, con cui intratteneva da un anno una relazione sentimentale osteggiata in famiglia, arrivando – sempre secondo la tesi di chi investiga – a meditare la strage dell’intera famiglia composta anche dalla mamma e dalla sorella. Queste ultime sono scampate alla morte perché Aldo, che dormiva sul divano quando è stato attinto da 14 coltellate, si è svegliato ed ha urlato spingendo Limata a scappare. Il ragazzo è stato poi rintracciato dalla polizia nell’abitazione di Cervinara in cui viveva con la famiglia. Dinanzi agli agenti, il ventitreenne ha reso immediata e piena confessione ai poliziotti.
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Nessuno dei familiari era presente in Tribunale per Limata mentre per Elena c’erano la madre Liana e la sorella. Liana, nota commercialista, era accompagnata dai cognati, i fratelli del marito e dall’avvocato della ragazza Vanni Cerino del Foro di Napoli che ha sostituito il legale inizialmente incaricato e che ha rinunciato al mandato. La donna non ha potuto vedere la figlia e, nonostante emerga lampante il quadro di responsabilità della diciottenne, ‘incastrata’ dalle centinaia di messaggi scambiati in chat con il fidanzato Giovanni, da madre continua a sostenere la figlia. «Non posso lasciarla sola» ha ripetuto mentre in una stanza del secondo piano del Palazzo di Giustizia di Avellino Elena veniva ascoltata dal gip. Qui la ragazza, e poi il ventitreenne, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. All’esito dell’interrogatorio, il gip ha confermato per i ragazzi la misura cautelare del carcere.
Intanto ieri pomeriggio si è svolto l’esame autoptico sul corpo di Aldo Gioia, che nella vita era geometra e dipendente della Fca di Pratola Serra (Avellino). Un uomo molto stimato dai colleghi, un viso noto in città anche perché abitava con la famiglia in Corso Vittorio Emanuele, strada dello shopping e dello ‘struscio’ di Avellino e capitava dunque di incrociarlo spesso. Uomo cordiale e pacato, avrebbe pagato con la vita il suo osteggiare la relazione della giovanissima figlia con un ragazzo problematico.
I suoi funerali verranno celebrati oggi pomeriggio nella chiesa di San Ciro ad Avellino. Sulla tragedia che ha sconvolto la città è intervenuto anche il vescovo della diocesi, monsignor Arturo Aiello, che ha invocato «una oceanica ammissione di colpa, una assemblea costituente sull’emergenza educativa per un’opera capillare di alfabetizzazione dei sentimenti prima che sia troppo tardi».«La tragedia, ci ha insegnato la cultura greca, – aggiunge monsignor Aiello – non riguarda mai un singolo, ma chiama sul palco un intero popolo, il re e i sudditi, giudici e colpevoli, chi ha tramato e messo in atto il suo piano e chi da un anno non mette il naso fuori casa e si fa i fatti suoi».
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martedì, 27 Aprile 2021 - 09:18
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