«Informazioni che permettessero il sequestro di una tonnellata di cocaina in cambio di metà del carico». Nell’ottobre 2008, ad un mese da quando aveva messo piede per la prima volta nella caserma dei carabinieri di Torre Annunziata, l’allora comandante della compagnia Luca Toti fu destinatario di una proposta ‘indecente’, «un patto scellerato» come l’ha definito egli stesso dinanzi al Tribunale oplontino nel processo a carico di tre carabinieri (Pasquale Sario, Gaetano Desiderio, Sandro Acunzo) accusati di essere venuti meno ai propri doveri d’ufficio.
Nello specifico ai militari dell’Arma viene imputato di avere reso favori all’ex ras del narcotraffico di Boscoreale Francesco Casillo in cambio di informazioni necessarie ad arresti e sequestri eccellenti, come la cattura del killer del tenente Marco Pittoni (ucciso nel giugno del 2008 durante una rapina nell’ufficio postale di Pagani) e del latitante Umberto Onda (elemento di spicco del clan Gionta di Torre Annunziata).
A combinare l’incontro, durato non oltre dieci minuti, tra il comandante Toti e ‘a vurzella (soprannome di Casillo) fu il luogotenente Francesco Vecchio, presente anch’egli, che descrisse l’ex boss come un «confidente in grado di fornire notizie circostanziate per rinvenire un grosso carico di droga». «Mi venne a prendere il luogotenente. In auto lo chiamò e lo invitò ad accedere il walkie talkie attraverso il quale gli dava indicazioni. Questa mi mancava», ha raccontato Toti in aula nell’udienza tenutasi martedì 11 maggio. I tre si videro al porto di Mergellina a Napoli, all’interno di un’imbarcazione ben riparata «perché Casillo non si sentiva sicuro e voleva essere tutelato». Toti non sapeva chi fosse quell’uomo esagitato e col berretto che disse di chiamarsi Franco. «Si presentò a me dicendo che aveva avuto un ruolo fattivo nella cattura di Carmine Maresca, coinvolto nell’omicidio del tenente Pittoni. – ha spiegato – Parlò di una tonnellata di droga, ma non voleva una ricompensa economica: chiese metà del carico. Allora gli risposi che rappresentavo lo Stato e lo Stato non tratta». Finì lì. Di quel colloquio il comandante avvisò il giorno dopo il generale Paris, all’epoca suo superiore al comando del gruppo dei carabinieri di Torre Annunziata, e, nel luglio 2011, la Direzione distrettuale antimafia. «Per me Casillo era un venditore di fumo, non volevo avere a che fare con lui e dissi a Vecchio che avrebbe dovuto fare altrettanto», ha continuato il colonnello che solo tempo dopo, durante una perquisizione, comprese lo spessore criminale di Casillo. L’ex boss in seguito tentò di instaurare dei rapporti con l’Antimafia che lo cacciò per falsa collaborazione.
Risale al 2010, invece, l’incontro tra Toti, Vecchio e l’avvocato di fiducia di Casillo, Giovanni De Caprio. Anche stavolta l’appuntamento, avvenuto a Posillipo, fu organizzato dal luogotenente. «De Caprio disse che era intenzionato a denunciare Acunzo perché Casillo asseriva di avergli del denaro per corrompere giudici e comprare droga». La denuncia fu depositata i primi di settembre. Sempre Vecchio, «che aveva un rapporto confidenziale con De Caprio», fornì i numeri di telefono riconducibili all’appuntato e a Casillo: «Il telefono in uso ad Acunzo era intestato ad uno ucraino. Quello di Francesco Casillo al fratello Aniello. Le schede erano numeri consequenziali, erano utenze citofono». Dopo un confronto con i colleghi del nucleo investigativo Toti giunse ad una conclusione: «Forse questa situazione era stata creata artatamente da Casillo per raccogliere delle prove contro Acunzo e metterlo in difficoltà».
Luca Toti non è stato l’unico a parlare dell’inaffidabilità di Franco Casillo, teste chiave nel giudizio a carico dei militari in servizio a Torre Annunziata all’epoca dei fatti contestati. All’udienza di martedì 11 maggio il tenente colonnello Paolo Guida, in quel periodo alla sezione catturandi, ha dichiarato che «i riscontri sulle informazioni di Casillo erano tutti negativi». Eppure «aveva un rapporto di fiducia con Sario». Fu quest’ultimo a presentargli ‘A Vurzella solo quando era in procinto di lasciare il suo incarico di comandante del nucleo investigativo. «Prima di questa circostanza sapevamo solo che c’era una fonte che nasceva da un contatto gestito direttamente dal maggiore Sario. Gli unici a sapere di chi si trattasse erano Acunzo e Desiderio», ha raccontato Guida. E ancora: «Sario mi parlò di un brillante imprenditore che aveva avuto problemi con la giustizia e che nel lavoro aveva trovato una forma di riscatto. Capii che era Casillo e che ci poteva aiutare a capire chi era Umberto Onda». Quando il maggiore andò via «ci fu una sorta di passaggio di consegne tra lui e l’appuntato Acunzo». Una circostanza che non destò la preoccupazione di Guida perché Acunzo rientrava dei rapporti intessuti da Sario nel tempo.
Durante l’escussione, Guida, che aveva partecipato insieme agli altri carabinieri agli incontri con Casillo, ha raccontato che le cantine Podere del Tirone di proprietà di Acunzo così come l’abitazione dell’ex narcotrafficante erano gli scenari adatti a mettere a proprio agio la fonte e a renderla più loquace.
mercoledì, 12 Maggio 2021 - 11:47
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