I venti di bufera nella Procura di Milano li aveva preannunciati la lettura delle motivazioni della sentenza di assoluzione dei 15 imputati nell’ambito del processo Eni-Nigeria; un atto di accusa nei confronti di chi aveva imbastito l’impianto accusatorio, che per i giudici della settima sezione penale del Tribunale milanese avrebbe – questa una delle contestazioni messe nero su bianco – anche ‘nascosto’ prove a discarico delle persone sotto processo. Accuse pesantissime che si sono nella pratica tradotte nell’iscrizione nel registro degli indagati degli stessi accusatori. Da una decina di giorni, infatti, il procuratore aggiunto Fabio De pasquale e il pm Sergio Spadaro, da poco nominato magistrato europeo, sono indagati dalla Procura di Brescia con l’ipotesi di rifiuto e omissione di atti d’ufficio.
E’ quella che gli americani definirebbero il plot twist, il colpo di scena, in una vicenda processuale che da circa un mese agita la Procura di Milano e che ha il proprio centro nell’affaire Eni-Nigeria, un processo che, come detto, a marzo si è concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati (finiti alla sbarra con l’accusa di corruzione internazionale in Nigeria).
Ma quali sono le accuse mosse nei confronti dei due magistrati indagati a Brescia? Secondo quanto emerge, l’indagine della Procura di Brescia, coordinata da Francesco Prete, prende le mosse dalle dichiarazioni del pm milanese Paolo Storari, anch’egli indagato a Brescia per rivelazione del segreto d’ufficio perché, secondo quanto gli è contestato, nell’aprile del 2020 ha consegnato per autotutela i verbali di Piero Amara – ex avvocato Eni – a Piercamillo Davigo, allora membro del Csm. Storari fu poi interrogato a maggio in due occasioni, e in quei due interrogatori ha spiegato di avere inviato a De Pasquale e Spadaro e in copia all’aggiunto Laura Pedio e al procuratore Francesco Greco, del materiale che avrebbe dimostrato la costruzione di prove false da parte di Vincenzo Armanna, ex manager licenziato da Eni, principale accusatore del processo per la maxi tangente ‘nigeriana’. Prove artefatte per infangare i vertici del gruppo e ricattarli.
I due pubblici ministeri, però, avrebbero messo in un cassetto queste prove offerte da Storari, invece di metterle a disposizione delle difese e del Tribunale. E questo nonostante emergesse dalle stesse che la prova della presunta corruzione era falsa. In particolare, i pm avrebbero omesso di mettere a disposizione delle chat alterate da Armanna per screditare l’amministratore delegato Claudio Descalzi e il capo del personale Claudio Granata; alcuni messaggi depurati al fine di nascondere una presunta mazzetta di 50mila dollari al teste dell’accusa Isaac Eke (che però non si è mai presentato al processo perché non soddisfatto del pagamento mandando al suo posto un’altra persona); e infine il ‘famoso’ video del 2014 mai depositato dalla pubblica accusa in cui si vedono Armanna e Piero Amara incontrarsi. Un video che avrebbe dimostrato come Vincenzo Armanna stava orchestrando il falso contro i vertici della sua ex società e che oggi è in possesso dei giudici di Brescia.
I due pm sono stati già sottoposti a perquisizione dei loto computer, in particolare per l’acquisizione di documenti e mail che si sono scambiati. Dell’indagine sul loro conto sono stati informati il Procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, il Csm e il ministero della Giustizia. Per il procuratore milanese Greco si tratta di un «atto dovuto» che merita rispetto istituzionale così come lo merita la «assoluta professionalità dei colleghi».
venerdì, 11 Giugno 2021 - 08:46
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