A chiedere un passo indietro a giornali, tv e siti web arriva, dopo l’ondata di sdegno popolare, anche il Garante per la protezione dei dati personali. Stop alla diffusione del video della tragedia della funivia del Mottarone: questo si legge nella nota del Garante, diffusa in queste ore, che segue le accese polemiche scaturite dalla pubblicazione delle immagini integrali, solo in alcuni casi pixellate per impedire che si vedessero sagome e volti delle vittime, degli ultimi drammatici secondi di vita dei 14 turisti morti in una cabina dell’impianto che collega Stresa al Mottarone.
I primi a pubblicare “in esclusiva” il video ripreso dalle telecamere della stessa funivia sono stati i giornalisti dell’edizione delle 14 del Tg3; si tratta di un documento già agli atti, funzionale al processo che verrà e all’inchiesta che, al momento, vede tre indagati. Un’indagine ancora alle prime battute: mancano altre perizie, serviranno altre testimonianze, ogni aspetto della vicenda dovrà essere indagato per cristallizzare tutte le responsabilità in una vicenda che rispetto alla dinamica si va di giorno in giorno chiarendo. Il freno di emergenza, questo il primo punto fermo, era bloccato da un forchettone; se il forchettone non fosse stato inserito, avrebbe funzionato evitando così la tragica morte delle vittime e il tristissimo destino di Eitan, 5 anni, unico sopravvissuto ma che ha perso mamma, papà, fratellino e bisnonni. Si dovrà ora stabilire perché anche il cavo si è spezzato.
In una inchiesta così delicata e complessa, grande importanza ha anche il video in questione; video acquisito dai carabinieri e finito ieri nelle mani dei giornalisti. I primi a mandarlo in onda, come detto, i giornalisti di Rai 3 seguiti a ruota, tranne alcune eccezioni rumorose come Ansa, Corriere, Sole 24 ore, da molte tv e siti.
Una scelta giustificata dal diritto di cronaca ma sommersa di critiche sul web da parte di quanti si sono indignati per l’esposizione della morte di 14 persone e l’indifferenza per il dolore dei loro familiari. Qualcuno si è spinto a definirla “pornografia del dolore”. E in effetti, risulta difficile trovare giustificazione alla scelta di pubblicare immagini così crude, anche se non si vede sangue, anche se i volti delle vittime sono indistinguibili (sebbene qualcuno non si sia fatto scrupolo di isolare il volto del più alto dei passeggeri, il papà di Eitan, un attimo prima della rottura del cavo delle funivia). Quale novità aggiunge la visione di quei frame all’inchiesta o alla formazione di un’opinione da parte della collettività, molti si sono chiesti. Tutti i dettagli, anche quelli più macabri e privati su cui la stampa si è già fiondata nei giorni delle prime cronache, sono stati resi noti. L’inchiesta è stata poi caratterizzata, da parte della Procura di Verbania retta dal procuratore Olimpia Bossi, da estrema trasparenza anche e soprattutto coi mass media. Dunque, a che pro?
Un primo intervento critico era arrivato già ieri dalla stessa Procura di Verbania, che evidentemente dovrà però anche chiarire come quelle immagini siano arrivate nelle mani dei giornalisti. Una nota in cui non solo si cita l’articolo 114 comma 2 del Codice di procedura penale, che vieta la pubblicazione anche parziale delle immagini che fanno parte di un procedimento in fase di indagini preliminari, ma fa riferimento alla «inopportunità» della loro pubblicazione per rispetto quanto meno ai familiari di chi ha perso la vita.
Oggi arriva anche l’intervento del Garante che invita« i media e gli utenti dei social network ad astenersi dall’ulteriore diffusione delle immagini e da forme di spettacolarizzazione dell’evento, che possono solo acuire il dolore dei familiari delle vittime e di quanti erano loro legati». Il video, si sottolinea, non era ancora stato mostrato ai familiari, che dunque hanno appreso o visto da siti e tg; e inoltre, sempre secondo il Garante, poco aggiunge «per quanto riguarda l’informazione dell’opinione pubblica, alla ricostruzione della dinamica del terribile incidente, già ampiamente trattata dai media».
Il garante richiama al rispetto del principio di essenzialità dell’informazione. Un richiamo non vincolante, certamente, ma anche un invito a una presa di coscienza che non parta solo da rispetto della deontologia professionale ma anche della sensibilità delle persone coinvolte. Un rispetto calpestato da chi, in base ad una ragionata scelta, ritiene fosse diritto e dovere di cronaca e in mala fede da chi dalle tragedie trae occasione per racimolare clic facili.
«L’Autorità lancia un particolare appello- conclude la nota – a quanti in queste ore stanno postando e condividendo i video sui social network affinché il dolore non diventi strumento per un like in più».
giovedì, 17 Giugno 2021 - 16:13
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