L’ordinanza di custodia cautelare emessa nottetempo dalla Procura di Roma ha impedito che uno dei condannati per l’efferato omicidio di Desirée Mariottini potesse uscire dal carcere nonostante la pena di 24 anni e sei mesi inflittagli dalla Corte di Assise di Roma. L’eventualità che Brian Minthe tornasse libero per decorrenza dei termini della custodia cautelare in merito all’accusa di violenza sessuale aveva immediatamente determinato un vespaio di polemiche e l’indignazione di Barbara, giovane mamma della sedicenne Desirée che dopo la sentenza aveva dichiarato «non è stata fatta giustizia». La nuova ordinanza di custodia cautelare è stata accolta immediatamente dalla stessa III Corte di Assise che aveva disposto la scarcerazione. In essa i giudici scrivono che è «concreto ed attuale il pericolo di fuga» dell’imputato, «anche al fine di sottrarsi all’esecuzione della pena come da lui fatto nell’immediato al momento del decesso di Mariottini». Minthe «non ha mostrato segni di resipiscenza» e non può che restare in carcere essendo un senza fissa dimora.
Arriva così al primo epilogo la vicenda della giovanissima Desirée, la cui storia e soprattutto il cui brutale assassinio avvenuto nel popolare quartiere San Lorenzo a Roma aveva non solo addolorato il Paese intero ma anche dato vita ad una prevedibile gara di strumentalizzazioni politiche; in prima fila, quanti hanno approfittato della tragedia e del colore della pelle degli imputati per dare ma forte alle proprie idee anti immigrazione. Ieri, con la scarcerazione poi evitata in extremis di Mnthe, si è evitata una seconda puntata di quelle giornate.
Leggi anche / La tragica vicenda di Desirée Mariottini
La storia
Il corpo senza vita di Desirée Mariottini fu rinvenuto la notte tra il 18 e il 19 ottobre del 2018 su un lettino in uno stabile abbandonato di via Lucani a San Lorenzo, nella Capitale. Aveva solo sedici anni ma già una storia di droga e fragilità che l’aveva fatta finire in Comunità. Sul suo cadavere qualcuno aveva appoggiato una coperta, il luogo in cui fu ritrovato era ben noto a Roma per la presenza di spacciatori, soprattutto africani, ‘al servizio’ della popolosissima comunità universitaria che popola il quartiere. Indagini lampo della polizia capitolina portarono il 25 ottobre all’arresto di due senegalesi irregolari. Mamadou Gara e Brian Minte, accusati in concorso con altre due persone, ricercate, di violenza sessuale di gruppo, cessione di stupefacenti e omicidio volontario. Gli altri due arresti scattano nelle ore successive: in manette finiscono Alinno Chima, 47 anni, e Yusef Salia. Secondo l’accusa Desireé sarebbe rimasta in stato di incoscienza per diverse ore prima di morire: alla ragazza sarebbe stata somministrata droga il 18 pomeriggio e mentre era in stato di incoscienza è stata vittima di abusi. Nei mesi successivi si delineano le diverse posizioni dei presunti responsabili. Nel giugno del 2019 la Procura di Roma chiude le indagini, condotte dagli agenti della Squadra Mobile e coordinate dal procuratore aggiunto Maria Monteleone e dal pm Stefano Pizza. Alinno Chima, Mamadou Gara, detto Paco, il ghanese Yusef Salia e il 43enne senegalese Brian Minthe sono accusati di concorso in omicidio volontario, violenza sessuale di gruppo e cessione e somministrazione di droga a minore.
La sentenza
A a poco più di un anno dalla morte della 16enne,nel novembre del 2019, il gup di Roma Clementina Forleo manda a processo i 4 cittadini africani: secondo l’accusa avrebbero abusato a turno della ragazza dopo averle fatto assumere un mix di droghe che ne ha provocato la morte. Tappa dopo tappa si arriva alla sentenza della Corte di Assise che ha inflitto 4 condanne: a Minthe, a Mamadou gara e Yousef Salia (ergastolo) a Alinno China (27 anni di reclusione).
lunedì, 21 Giugno 2021 - 08:13
© RIPRODUZIONE RISERVATA