Sono 917 gli emendamenti presentati dal Movimento Cinque Stelle relativi alla riforma del processo penale del ministro della Giustizia Marta Cartabia. Una pioggia di emendamenti, frutto evidentemente di una strategia ostruzionistica, con cui i parlamentari del Movimento intendono rinsaldare le barricate a difesa della cancellazione della prescrizione voluta dall’ex Guardasigilli, il grillino Alfonso Bonafede. Una strategia che trova un’insolita alleanza in parte della magistratura ieri uscita allo scoperto con diverse dichiarazioni seguite da polemiche di fuoco.
E’ l’ala oltranzista dei grillini a non cedere sul punto della cancellazione della prescrizione, uno dei baluardi del cammino di lotta e di Governo del M5s, attuando la mossa degli emendamenti a pioggia nonostante i tentativi di mediazione dell’ex premier Giuseppe Conte, prossimo leader del Movimento, e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio che non intendono trasformare la riforma della giustizia in un campo minato per la tenuta del Governo e per l’alleanza con il Partito Democratico, quest’ultimo fortemente preoccupato per la deriva che sta assumendo il dibattito e consapevole che proprio sulla riforma della giustizia il premier Mario Draghi non vuole (e non può) arretrare, considerando le aspettative dell’Europa verso l’Italia legate soprattutto al recovery plan. Del resto proprio da Bruxelles è arrivata, negli ultimi giorni, l’ennesima batosta sullo stato della giustizia italiana caratterizzata da «processi lumaca» e «scarsa indipendenza» dei giudici.
Un quadro molto difficile, dunque, nel quale il lavoro di diplomazia in corso in queste ore si prefigura parecchio delicato. Dietro la cortina fumogena dei 917 emendamenti presentati, infatti, il Movimento Cinque Stelle cela l’unico vero obiettivo: lasciare che siano le toghe a decidere la durata del processo, dunque prolungare il più possibile i termini di prescrizione portandola da due a tre anni in primo grado e da un anno a un anno e mezzo in appello.
Una serie di contatti ci sono stati ieri tra Palazzo Chigi, con il sottosegretario Roberto Garofoli, ed esponenti della maggioranza per trovare una quadra che soddisfi tutti. Dal Quirinale si segue con attenzione l’iter di una riforma determinante per i fondi del Recovery Fund e sulla quale, in attesa del parere del Csm, non ci sono rilievi.
In mattinata, in due audizioni in Commissione Giustizia della Camera, il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, hanno però sparato a palle incatenate sulla riforma. Per Gratteri il 50% dei processi finiranno in Appello sotto la scure dell’improcedibilità: «Le conseguenze saranno la diminuzione del livello di sicurezza per la nazione – ha detto – visto che certamente ancor di più conviene delinquere». E per De Raho la riforma «mina la sicurezza del Paese». Immediatamente i parlamentari di M5s della commissione Giustizia hanno inviato una nota collettiva: «La riforma del processo penale messa a punto dalla ministra Marta Cartabia deve essere modificata». Per quanto riguarda il Pd, che ha presentato 19 emendamenti che mirano a favorire l’intesa nella maggioranza, l’aria che si respira è in queste ore di forte irritazione verso gli alleati grillini.
In questo clima, sono pietre le parole del ministro della Giustizia Cartabia, ieri a Napoli per un convegno alla Federico II: «Questa riforma deve essere fatta perché lo status quo non può rimanere tale».
«So molto bene che i termini che sono stati indicati sono esigenti per realtà come Napoli – ha continuato – perché partiamo da un ritardo enorme, ma non sono termini inventati, sono quelli che il nostro ordinamento e l’Europa definisce come termini della ragionevole durata del processo, che è un principio costituzionale».
mercoledì, 21 Luglio 2021 - 10:04
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