Mentre l’Italia si fermava per mettere in scena il rito del Ferragosto fuoriporta, al mare o in montagna, i lavoratori della Whirlpool di Napoli ricordavano all’opinione pubblica che il diritto al lavoro non va in vacanza nemmeno il 15 agosto. Gli operai, licenziati lo scorso 15 luglio dalla multinazionale americana che non ne ha voluto sapere di restare a via Argine a nessuna condizione proposta dal Governo e ha chiuso i battenti dello stabilimento, hanno organizzato infatti un ‘Aperitivo di Resistenza’ nei locali di quella che per anni è stata la loro ‘casa’. Quella fabbrica di via Argine che hanno occupato e dalle cui linee di produzione non usciranno più le lavatrici vendute in tutto il mondo.
Si tratta del terzo Ferragosto in fabbrica per i lavoratori, che da tre anni infatti combattono per vedere tutelati i loro diritti. Nonostante il caldo asfissiante e una città praticamente svuotata dalle ferie, circa 60 operai con i loro familiari hanno brindato durante un buffet preparato con prodotti a chilometro zero per dimostrare, hanno dichiarato, che «la dignità, il rispetto, il diritto al lavoro non possono andare in vacanza».
La vicenda della Whirlpool di Napoli è diventata presto un simbolo delle tante vertenze che stanno affrontando tanti lavoratori in tutta Italia. Dopo tre anni di tavoli al ministero dello Sviluppo economico, a luglio, con lo sblocco dei licenziamenti deciso dal Governo, la multinazionale ha avviato la procedura per licenziare 340 operai del sito partenopeo.
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La storia
Il caso Whirpool Napoli esplode nel maggio del 2019 quando l’azienda comunica l’intenziore di chiudere lo stabilimento di Ponticelli; per alcuni si tratta di un fulmine a ciel sereno visto che, racconteranno in seguito i dipendenti, per anni la fabbrica partenopea è stata considerata una eccellenza con tanto di valutazioni di merito eccellenti. Così però non era, secondo la multinazionale che poi ha spiegato, in un documento pubblicato lo scorso luglio, che i costi della fabbrica di Napoli non erano più sostenibili e, in estrema sintesi, i livelli di produttività non soddisfacenti. Dal maggio del 2019 sono dunque iniziati incontri e trattative con l’azienda americana: al tavolo del Mise prima Luigi Di Maio, poi Stefano Patuanelli, oggi Giancarlo Giorgetti. Tre ministri per una situazione che non ha trovato alcuna soluzione. Anzi. Appena sbloccati i licenziamenti la Whirlpool ha avviato la procedura di licenziamento comunicandola via mail ai sindacati. Peraltro, il licenziamento non prevede che l’azienda chieda altri ammortizzatori sociali ordinari o straordinari, è un atto irrevocabile e «la società – ha poi spiegato in una comunicazione l’ad Luigi La Morgia – non intende presentare domanda di integrazione salariale ai sensi del decreto Sostegni bis». Insomma: niente cassa integrazione Covid per altre 13 settimane come richiesto dal Governo. «Il progetto di cessazione di attività dello stabilimento di Napoli deve intendersi finale e definitivo»: parole che sono pietre (tombali) sul destino e sulle lotte dei lavoratori, messe nere su bianco nella lettera dall’amministratore delegato Luigi La Morgia che ha confermato anche che non ci sarà riassorbimento in altre sedi.
Nonostante il de profundis dell’azienda i lavoratori non mollano, come recita lo slogan che da sempre contraddistingue la loro protesta. Una protesta che li ha portati a Roma, sotto Palazzo Chigi e sotto la sede del Ministero dello Sviluppo economico; che li ha portati in decine di studi televisivi, in piazza, e li ha spinti a occupare Capodichino, il Molo Beverello, l’autostrada A1. Ogni volta compatti con i loro striscioni e i loro slogan, ogni volta simbolo della classe operaia oggi quanto mai vilipesa da scelte aziendali – soprattutto da parte di stranieri – che rendono fosco il suo destino.
lunedì, 16 Agosto 2021 - 08:59
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