Ucciso davanti alla compagna incinta, freddato con sette colpi di pistola sparati a distanza ravvicinata da un sicario col volto travisato. Carmine D’Onofrio non aveva pendenze con la legge, era incensurato e aveva appena 23 anni, ma forse ha pagato col sangue la sua appartenenza alla dinastia dei De Luca Bossa. Il giovane che stava per diventare padre e viveva facendo lavori saltuari, infatti, era figlio illegittimo di Giuseppe De Luca Bossa e nipote di Antonio De Luca Bossa, detto Tonino ‘o sicc, che sconta attualmente l’ergastolo ed è considerato il capo del sodalizio camorrista egemone nel quartiere e oggi alle rpese con una faida contro il clan De Micco. Questi ultimo pochi giorni prima del raid a D’Onofrio hanno subito un attentato: una bomba fatta esplodere nei pressi della casa di un affiliato che ha provocato due feriti lievi.
La dinamica
Chi ha ucciso Carmine D’Onofrio ha potuto vederlo bene in faccia: gli si è parato davanti e ha sparato ben sette volte, con una pistola calibro 45, contro quel ragazzo sceso dalla sua Fiat Panda nera appena parcheggiata. E questo aspetto porta a ritenere che si tratti di un omicidio trasversale deciso per colpire le parentele “eccellenti” della vittima.
D’Onofrio lascia la compagna, una ragazza di 20 anni, in attesa di un figlio, che era con lui ed ha assistito alla tragedia avvenuta alle 2 di notte, all’altezza del civico 51 di via Luigi Crisconio. Per fortuna, prima di sistemare la vettura con il lato passeggero aderente al muto, l’ha fatta scendere dalla vettura. E questo aspetto, verosimilmente, ha evitato che la tragedia potesse essere ancora più pensate.
A quanto pare non ci sono sistemi di videosorveglianza nella zona dell’agguato. A trasportare D’Onofrio nel Pronto Soccorso di Villa Betania, dove è morto poco dopo l’arrivo, sono stati alcuni familiari.
Gli investigatori ritengono che l’omicidio rappresenti un pessimo segnale per la periferia ad est di Napoli dove il clan De Luca Bossa si è impadronito degli affari illegali soprattutto dopo il ridimensionamento del clan guidato dal boss Marco De Micco, soprannominato “Bodo”, decimati da un maxi blitz eseguito nel novembre del 2017 da forze dell’ordine e magistratura. Tra la fine di febbraio e marzo 2020, inoltre, è tornato in libertà Emmanuel De Luca Bossa, il secondo figlio di Antonio De Luca Bossa, anche lui giovanissimo: una “testa calda” la cui storia criminale è stata più volte paragonata a quella di “Sangue Blu”, noto personaggio di “Gomorra La Serie”.
«Non possiamo consentire che nella terza città d’Italia si combatta una guerra di camorra che minacci l’incolumità e la sicurezza dei cittadini. Quello che sta avvenendo alla periferia Est di Napoli, nel quartiere di Ponticelli è una tragedia annunciata», ha detto il senatore Sandro Ruotolo, del Gruppo Misto.
«Solo di qualche giorno fa l’esplosione di una bomba che, per fortuna, solo di striscio ha colpito una mamma in compagnia del figlio», ricorda il consigliere regionale Francesco Emilio Borrelli che chiede un intervento urgente dello Stato.
«Si uccide a Ponticelli, una guerra di camorra senza esclusioni di colpi. Una guerra che è emergenza nazionale, anche se a Roma nessuno se ne accorge e a lottare contro la criminalità organizzata sono rimaste solo le reti di quartiere. La periferia di Napoli è teatro di una pericolosa recrudescenza criminale che nasconde affari, economie informali e relazioni criminali sempre più fitte». Così, in una nota, Libera Campania
«Lo Stato deve dare un segnale, concreto efficiente ed efficace per non lasciare sole le reti sociali, culturali e civiche che denunciano e resistono al ricatto e alla violenza delle camorre nel quartiere e che quotidianamente non rinunciano alla possibilità di cambiare il luogo che si ama e si abita, anche quando tutti fanno finta di non accorgersene – si sottolinea – Qualcuno dimentica che Ponticelli non è solo periferia, è Napoli e lo scontro tra clan è una guerra che coinvolge e interessa l’intera città».
giovedì, 7 Ottobre 2021 - 08:46
© RIPRODUZIONE RISERVATA