Uccisa dal marito mentre il bimbo era in casa, ergastolo all’uomo. La sorella di Ornella: «Legge sull’Appello va cambiata»

Ornella Pinto
Ornella Pinto
di maga

L’aggravante della premeditazione è rimasta in piedi, come quelle dello stato di convivenza e della crudeltà.

Oggi pomeriggio Giuseppe Iacomino è stato condannato alla pena dell’ergastolo per avere ucciso la moglie Ornella Pinto, docente di sostegno di 39 anni, la sera del 13 marzo del 2021. I giudici della prima sezione della Corte d’Assise di Napoli (presidente Teresa Annunziata, giudice a latere Giuseppe Sassone) gli hanno comminato il massimo della pena recependo la ricostruzione accusatoria sostenuta dal pubblico ministero Fabio De Cristofaro, che in sede di requisitoria aveva contestato la versione alternativa fornita dall’imputato.

Iacomino ha sempre sostenuto di avere aggredito nelle fasi concitate di una lite scoppiata in cucina (i due abitavano in via Filippo Cavolino a Napoli, nei pressi di piazza Carlo III), di avere perso la testa e di avere afferrato un coltello riposto in un mobile con il quale colpì Ornella. La procura, invece, ha affermato che il coltello usato proveniva dall’esterno, ossia dall’hotel di Ercolano dove Iacomino lavorava come cameriere e dal quale rientrò la sera del delitto. Proprio questo aspetto ha tenuto in piedi l’aggravante della premeditazione.

Ma perché Iacomino pianificò il delitto? La sera prima Ornella Pinto gli aveva manifestato la volontà di interrompere la relazione e la necessità per entrambi di separarsi anche da un punto di vista abitativo. E lui, anziché lasciare andare Ornella e accettare la fine del rapporto, decise di soffocare i sogni di felicità della donna che diceva di amare e dalla quale aveva avuto un figlio. Già, il figlio. Daniele aveva appena 3 anni e quella notte fu svegliato dalle urla di Ornella lanciate mentre lei veniva accoltellata. Iacomino le sferrò ben 12 fendenti. Si accanì su di lei con crudeltà. La stessa crudeltà manifestata per non essersi curato della presenza in casa di suo figlio, rimasto segnato da quell’atrocità. Uno dei poliziotti accorsi sul posto ha poi raccontato a processo circa Daniele: «Ho visto un fantasma con le braccia penzoloni e gli occhi sbarrati». Daniele, quella notte, capì tutto. Alla zia Stefania, con la quale oggi vive, disse: «Papà è pazzo, ha ucciso la mamma e distrutto la casa».

Alla lettura della sentenza erano presenti l’imputato e le due sorelle di Ornella Pinto. «Giustizia è fatta – è stato il commento di Stefania – Voglio ringraziare i nostri avvocati che sono stati eccezionali, ma anche le forze dell’ordine e la procura per il lavoro svolto. Voglio ringraziare il pm perché soprattutto nell’udienza scorsa ha ridato dignità a mia sorella, quella dignità che il suo assassino ha cercato di toglierle raccontando solo bugie per cercare di sminuire ciò che aveva fatto. Questa sentenza per noi è importante, ma non finisce qui».

Stefania Pinto annuncia, infatti, il suo impegno affinché il legislatore intervenga sulla possibilità di presentare appello da parte di chi si macchia di femminicidio. «Oggi per 5 ore abbiamo sentito in aula le bugie per screditare mia sorella e la ricostruzione di ciò che è accaduto quella notte – ha osservato – Io trovo assurdo che si dia tanto spazio a un assassino quando i fatti sono così lineari. Così come è allucinante dare la possibilità dell’Appello. Non è giusto per un familiare dovere risubire tutto questo di nuovo. Processi come questi andrebbero chiusi subito e senza dare la possibilità di concedere attenuanti. Il compagno di mia sorella ha distrutto la vita di mia sorella, ma ha calpestato i diritti umani di mio nipote. Gli ha negato il diritto di vivere avvolto dall’amore della sua mamma. Ecco, io da oggi mi batterò perché leggi devono cambiare».

martedì, 10 Maggio 2022 - 21:56
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