L’Asl Napoli 1 è proprietaria di 356 terreni, 544 fabbricati disponibili e altri 72 indisponibili. Sono 543 gli immobili adibiti ad abitazioni e ad altri usi. Un «ingente patrimonio immobiliare» secondo la Sezione regionale di controllo per la Campania, che se n’è occupata nell’adunanza pubblica del 7 marzo 2022, in sede di verifica sui bilanci 2018 e 2019. E la Corte dei Conti non risparmia bordate. «Rilevanti criticità riconosciute, peraltro, dai rappresentati dell’Azienda – precisa la delibera della magistratura contabile -, scaturiscono, inoltre, dalla gravosa/carente gestione del patrimonio immobiliare, costituito da numerosi terreni, anche situati fuori dal distretto dell’Azienda, da immobili di pregio e da immobili adibiti ad uso abitativo».
Uno dei capitoli spinosi riguarda i fitti delle unità immobiliari. «Con riferimento a dicembre 2019, l’ammontare complessivo della morosità riferita ai cespiti inseriti nell’elenco – si legge nel documento – risulta pari a € 4.200.463,11. L’Azienda ha fornito una serie di precisazioni relative alle vicende che hanno interessato la gestione del patrimonio aziendale disponibile».
I DUBBI DELLA CORTE DEI CONTI
Dubbi esprime la Corte, sulle locazioni dell’Asl Napoli 1. «In sede istruttoria, è emersa l’esigenza – spiegano i magistrati – di approfondire profili inerenti alla sussistenza di fattispecie riferibili a occupazioni sine titulo, ed eventualmente di specificare i beni oggetto di tali atti illeciti e le iniziative intraprese per ovviare a tale criticità».
Sul punto, l’Azienda ha specificato l’iter procedimentale. Esso prevede verifiche a campione delle posizioni di inquilini e occupanti. Se manca il contratto, c’è l’invito a sottoscriverlo. Qualora si accerti la morosità, l’Asl invia la diffida ad adempiere al pagamento del debito, con la messa in mora. In caso di inadempienza del diffidato, l’avvio dell’azione legale, per il recupero forzoso del credito e dell’immobile. Ma non mancano i rilievi della Corte dei Conti.
«Al riguardo, questa Sezione sottolinea – afferma la delibera – come la risposta dell’Ente sul punto in esame sia insoddisfacente. Giova premettere che gli elenchi inviati si riferiscono solo ad un triennio. Peraltro, si tratta di semplici elenchi di comunicazioni di messa in mora dirette agli inquilini/occupanti, con indicazione del relativo debito, ma nulla di specifico emerge in relazione al grado di recupero dei canoni non corrisposti ovvero al rilascio degli immobili da parte degli occupanti sine titulo».
Inoltre, «l’affermazione dell’Ente relativa al fatto che “nel periodo 2013 – 2016 non risultano, in base ad accertamenti eseguiti presso gli archivi della U.O.C., diffide e/o messe in mora a carico di inquilini morosi”, fa presumere che tutte le inadempienze elencate abbiano avuto origine esclusivamente negli anni dal 2017 al 2019, e che di conseguenza il credito per fitti attivi dell’Asl sia stato regolarmente ed interamente riscosso nell’arco temporale precedente al 2017».
Nell’esposizione dei magistrati, i dubbi si moltiplicano. «Diversamente, qualora l’assenza di diffide e/o messe in mora fosse ascrivibile ad una condotta omissiva dell’Azienda – ipotizza la Corte – emergerebbero gravi irregolarità nella gestione degli immobili. In tal caso, infatti, l’Ente avrebbe omesso di tutelare il proprio patrimonio immobiliare e di esigere il pagamento del corrispettivo per il godimento dei beni di cui è titolare». E «stante la parziale risposta fornita dall’Ente sul punto, questa Sezione si riserva di monitorare, nelle successive verifiche sui bilanci aziendali, la puntuale attivazione di tutti gli strumenti approntati dall’ordinamento per tutelare il patrimonio aziendale nei confronti degli occupanti sine titulo e dei conduttori morosi». Ma non è tutto. «Desta perplessità – aggiunge la delibera – il controllo “a campione” sul numero complessivo delle posizioni degli inquilini/occupanti. A tal proposito, questo Collegio rileva come il riferimento alla “verifica a campione della posizione contrattuale ed economica del singolo inquilino/occupante” integri gli estremi di una irregolarità nella gestione del patrimonio immobiliare che, per tale ragione, va stigmatizzata. La tutela dei beni immobili di cui l’Azienda è titolare non può limitarsi alla verifica di un non meglio specificato campione di cespiti: essa deve abbracciare, necessariamente, la totalità degli immobili in esame».
Le preoccupazioni derivano anche da altro: il patrimonio immobiliare si sta perfino espandendo. «Il Collegio si riserva, nei successivi cicli di controllo sui bilanci aziendali, di approfondire il tema – chiarisce la Corte -, segnalando sin d’ora che il consistente patrimonio immobiliare dell’Azienda – che, a seguito di recenti accordi sottoscritti con il Comune di Napoli, sembrerebbe essersi arricchito di ulteriori unità – potrebbe essere valorizzato al fine di razionalizzare i costi dei canoni da corrispondere per i beni in locazione».
LE CONCLUSIONI: «FITTI INFERIORI AI PREZZI DI MERCATO E GRAVI IRREGOLARITÀ»
Sulla gestione dei tanti immobili, le conclusioni della Corte sono molto severe. «Alla luce delle risultanze istruttorie relative alle categorie terreni e fabbricati – sentenzia la delibera -, questa Sezione rileva l’inadeguatezza del sistema di gestione del patrimonio immobiliare dell’Ente, da cui sono derivate e derivano tuttora gravi inefficienze nella riscossione dei canoni e nelle procedure di rilascio delle unità detenute sine titulo. Manca financo la conoscenza del patrimonio di cui l’Ente è titolare, come testimonia l’esigenza di censire i beni in esame». Ciò «ha provocato e provoca danni al bilancio dell’Ente e comporta la necessità di adottare misure volte a superare, in tempi brevi, tali irregolarità».
Critiche vengono formulate per «l’inadeguatezza dell’attuale assetto organizzativo dell’Amministrazione de qua a gestire l’ingente patrimonio immobiliare di cui è proprietaria».
Il Presidente del Collegio sindacale dell’Asl «ha osservato come “la problematica della valorizzazione del patrimonio immobiliare sia stata presa in considerazione fin dal primo insediamento del Collegio, che è al suo secondo mandato, e che fin dall’inizio è stata rilevata una carenza organizzativa dell’Ente”».
A seguito delle sollecitazioni, l’azienda sanitaria ha creato un’unità per la gestione del patrimonio immobiliare. «I Dirigenti aziendali presenti in adunanza pubblica – sottolinea la Corte – hanno rappresentato che la gestione di tale ingente patrimonio immobiliare è, attualmente, affidata a circa sei unità di personale e che, per tale ragione, si procederà ad assunzioni di personale. Al riguardo, questa Sezione rappresenta che – in disparte ogni valutazione in ordine alla dismissione di una parte di tale patrimonio, che rientra nella sfera riservata all’Ente – ciò che non è ammissibile, una volta che l’Azienda decide di mantenerne la proprietà, è che tale patrimonio non sia valorizzato e messo a reddito per renderlo funzionale al conseguimento delle finalità pubbliche cui è preordinata l’attività di una ASL».
Qui le bacchettate dei magistrati si caricano di stupore. «E’ emerso chiaramente, infatti – sostiene la Sezione di controllo -, che l’Azienda svolge una funzione impropria, non ricadente nella sua attività caratteristica, ossia quella di concedere in locazione beni immobili a prezzi inferiori a quelli di mercato, con canoni individuati in base a criteri (quali, ad esempio, la dichiarazione dei redditi del conduttore), che dovrebbero costituire parametro per l’attività di Enti a cui è attribuita una diversa mission istituzionale, vale a dire la tutela del c.d. diritto all’abitazione (art. 2 Cost.)». In tono caustico, la Corte rileva: «Non sfuggono le finalità costituzionali cui è preordinata l’edilizia residenziale, che consistono nel garantire un’abitazione a soggetti economicamente deboli nel luogo in cui si trova la sede dei loro interessi, al fine di assicurare un’esistenza libera e dignitosa a tutti coloro che non dispongono di mezzi sufficienti». Tuttavia, «non sembra ammissibile» che «questa funzione ricada e sia svolta da una ASL, che dovrebbe valorizzare le proprie risorse e mettere a reddito i beni di cui è titolare al fine di erogare prestazioni sanitarie, garantendo il diritto fondamentale alla salute, nella sua dimensione individuale e collettiva (art. 32 Cost.)». Insomma, «l’istruttoria condotta dall’Ufficio di controllo ha fatto affiorare chiaramente il profilo dello sviamento».
L’accusa alla Asl Napoli 1, in sostanza, è di comportarsi come un istituto delle case popolari. «Il rifiuto alla sottoscrizione del contratto da parte dei conduttori – osservano i magistrati -, in ragione di un canone ritenuto troppo elevato, sebbene esso sia stato individuato in collaborazione con l’Agenzia delle Entrate – Territorio, è emblematico di una situazione di grave irregolarità, in cui la presenza di occupanti che non accettano il contratto di locazione viene trattata come una criticità da risolvere favorendo esigenze abitative». Per questa via, «vengono sottratte, per finalità estranee alla mission di un’Azienda sanitaria, risorse che, invece, dovrebbero essere destinate allo svolgimento delle sue funzioni istituzionali». I dati forniti, peraltro, «non sono sufficientemente analitici per valutare il fenomeno, ossia per individuare quale sia di fatto l’incidenza di dette riduzioni sul valore di ricavo come fitto attivo da conto economico, nonché dei mancati incassi per morosità».
La Sezione di controllo «evidenzia sin d’ora le suddette gravi irregolarità e si riserva di svolgere approfondimenti istruttori per inquadrare l’entità del fenomeno». Come dire: non finisce qui.
mercoledì, 18 Maggio 2022 - 07:30
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