Le pagelle dei magistrati nella Riforma Cartabia, il procuratore Centore: «Sistema non pronto a questi cambiamenti»

di Antonio Centore*

La riforma Cartabia è legge.
Forse pochi l’ avranno notata ma la più incisiva e innovativa in assoluto tra le norme approvate ieri, è quella, inserita nella riforma all’articolo 3 comma 1 lettera h) che prevede l’istituzione del “fascicolo per la valutazione del magistrato, contenente, per ogni anno di attività, i dati statistici e la documentazione necessari per valutare il complesso dell’attività svolta, compresa quella cautelare, sotto il profilo sia quantitativo che qualitativo, la tempestività nell’adozione dei provvedimenti, la sussistenza di caratteri di grave anomalia in relazione all’esito degli atti (…) nelle successive fasi o nei gradi del procedimento e del giudizio…”.

Attenti a quel passaggio: “gravi anomalie”.

È la chiave di tutto.

Si vuol sapere, più di ogni altra cosa, se qualche magistrato è andato incontro con abnorme frequenza a “bocciature” dei propri atti, se un giudice ha visto riformate troppo spesso le proprie decisioni e soprattutto – quel che più conta – se un PM è andato a sbattere con impressionante puntualità su assoluzioni degli imputati di cui aveva chiesto il giudizio, o anche su annullamenti delle misure cautelari invocate.

Il cuore della riforma appena approvata è questo.

Ma (questa è la domanda) il sistema è pronto per rendere possibile ed attuabile tutto questo ?

A mio avviso per niente.

E nemmeno potrà farlo se non verranno adeguati gli organici e ridotto drasticamente il numero dei processi pendenti.

In realtà, una delle principali criticità e cause di inefficienza delle Procure della Repubblica e dei Tribunali, è rappresentata – insieme all’insostenibile mole di procedimenti pendenti – dall’elevata incidenza di cause definite in sede dibattimentale con esiti assolutori o con declaratorie di estinzione per intervenuta prescrizione.

Mentre l’estinzione per prescrizione dei processi trova facile spiegazione nelle difficoltà incontrate dagli uffici di Procura ed ancor più dai Tribunali (a causa di organici insufficienti e di numeri insostenibili di sopravvenienze) nel definire in tempo utile gran parte dei procedimenti giunti alla fase dibattimentale, non altrettanto può dirsi con riguardo all’elevata incidenza di esiti assolutori, che non può altro che ricondursi all’impossibilità di garantire neppure per i processi più importanti e delicati la continuità di trattazione del procedimento nella fase del giudizio dal parte dello stesso Sostituto Procuratore che aveva seguito la fase delle indagini.

In mancanza di un tale opportuno e perciò auspicabile raccordo, si rischia inevitabilmente di prolungare la sequela di “processi inutili” alla quale si assiste da anni, capaci solo di impegnare pubblici ministeri, giudici, avvocati, parti, investigatori, personale giudiziario e testimoni in una dispendiosa attività sostanzialmente priva di scopo, perché incapace di giungere in tempo utile a concreti e tangibili risultati.

Essendo oggi – in seguito alla riforma Cartabia – espressamente contemplata, fra i parametri indicatori della professionalità di ogni magistrato, l’esistenza di eventuali significative anomalie del rapporto esistente tra provvedimenti emessi o richiesti e provvedimenti non confermati o rigettati, in relazione all’esito delle successive fasi e gradi del procedimento, va detto con chiarezza che sarà impossibile, almeno con riguardo ai pubblici ministeri, perseguire l’obiettivo di una piena responsabilizzazione dei medesimi verso un esito positivo delle indagini dagli stessi avviate e definite, monitorando gli esiti, nelle fasi e/o nei gradi successivi, delle richieste dagli stessi formulate, finchè non sarà data loro la reale ed effettiva possibilità di seguirne il corso nelle successive fasi dell’udienza preliminare e del dibattimento e, se necessario, perfino in grado di appello.

Quanto questa esigenza sia stata invece svalutata dal legislatore in occasione delle ultime riforme è dimostrato dall’abrogazione dell’art. 3 delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale che disponeva nel senso che “i titolari degli uffici del pubblico ministero curano che, ove possibile, alla trattazione del procedimento provvedano, per tutte le fasi del relativo grado, il magistrato o i magistrati originariamente designati”, norma che è stata espressamente ed inspiegabilmente abrogata dall’art. 7 del Decreto Legislativo 20 febbraio 2006 n. 106 (c.d. Riforma Castelli-Mastella), probabilmente al fine di “spersonalizzare” il più possibile il rapporto tra investigatore ed indagato, anche a rischio (o forse proprio per questo …) di disperdere preziose conoscenze ed esperienze maturate dal PM titolare nel corso delle indagini preliminari.
Deve invece affermarsi con forza che la continuità del P.M. dalle indagini al dibattimento deve  – oggi più che mai – essere ritenuta come un fattore di efficienza nell’azione di contrasto giudiziario al crimine e costituire, quindi, un criterio organizzativo da perseguire in ogni modo e ad ogni costo, attraverso un significativo potenziamento degli organici e l’adozione di criteri organizzativi che rendano possibile al Sostituto che ha curato la fase delle indagini preliminari di rappresentare l’organo dell’accusa anche per l’intera durata della fase dibattimentale sino alla sentenza, in modo da assicurare un’effettiva continuità tra la fase delle indagini e la fase dibattimentale, non disperdere il patrimonio di conoscenze acquisito dal singolo Sostituto nella fase delle indagini e valutare la possibilità di arricchimenti del quadro probatorio attraverso la produzione ex art. 430 C.p.p. di ulteriori elementi eventualmente sopravvenuti.

Solo la tendenziale continuità della designazione del Sostituto o dei Sostituti originariamente incaricati delle indagini per tutte le fasi del medesimo grado (e per i procedimenti più delicati e complessi anche in grado di appello, attraverso sistematiche applicazioni dei sostituti originari titolari presso le Procure Generali) e la conseguente maggiore responsabilizzazione dell’organo dell’Accusa potrà assicurare una migliore qualità delle decisioni, rendendo nel contempo concretamente attuabile, meno iniqua e meno punitiva la norma di cui all’articolo 3 comma 1 lettera h) della riforma Cartabia approvata ieri.


* Procuratore capo della Repubblica di Nocera Inferiore

venerdì, 17 Giugno 2022 - 18:17
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