Quella tragica mattina Mariano Cannio, di professione domestico, era perfettamente consapevole di ciò che stava facendo. E ciò che stava facendo determinò la morte del piccolo Samuele, il bimbo di 4 anni lanciato dal balcone di casa, al terzo piano, in via Foria a Napoli.
Con questa sintesi il pubblico ministero Barbara Aprea nella giornata di ieri, martedì 2 agosto, ha chiesto la condanna dell’imputato a 18 anni di reclusione per omicidio volontario. Di diverso avviso la difesa, rappresentata dagli avvocati Fabrizio Chianese e Mariassunta Zotti: Cannio è un soggetto schizofrenico, era infatti seguito dall’Asl ed era sotto terapia. Sulla scorta di questo quadro clinico, la difesa tenterà la casa dell’incapacità di intendere e di volere. Il processo si sta definendo dinanzi al giudice per le indagini preliminari Nicoletta Campanaro del Tribunale di Napoli con le modalità del rito abbreviato, formula che prevede lo sconto di un terzo della pena.
I fatti contestati si verificano il 17 settembre dello scorso anno. Cannio stava svolgendo le faccende domestiche nella casa di una nota famiglia della zona. Samuele e sua madre erano in casa, quando a un certo punto il piccolo volò giù dal balcone. All’arrivo della polizia nell’appartamento c’era solo la madre, in evidente stato di choc.
Le ci volle un po’ per mettere a fuoco la presenza di Cannio, che si era allontanato subito dopo il delitto. Così la polizia si mise sulle tracce dell’uomo, trovandolo nel suo appartamento. Come spiegato agli inquirenti, Cannio, dopo avere ucciso Samuele, era andato a mangiare una pizza nel rione Sanità.
mercoledì, 3 Agosto 2022 - 09:03
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