«E’ una notte triste per l’Italia» dice un’affranta Debora Serracchiani alle 3 del mattino commentando la sonora sconfitta del Partito democratico. Secondo partito d’Italia e primo di opposizione, certamente, ma al di sotto della soglia agognata del 20% e soprattutto fautore di una scelta strategica di alleanze rivelatasi, col senno di poi, poco accorta. Gli ex alleati pentastellati, scaricati in questa elezione, sono la terza forza politica del Paese; Calenda e Renzi collezionano un 8% comunque decoroso. Alla luce anche di questi risultati il segretario Dem Enrico Letta avrebbe già pronte le dimissioni e la dirigenza sarebbe invece già pronta al solito tafazziano redde rationem.
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Nella sala dedicata al compianto David Sassoli, Serracchiani commenta: «Dai dati che abbiamo visto finora non possiamo non attribuire la vittoria alla destra trascinata da Giorgia Meloni» per poi trovare una valvola di sfogo quando accusa «con questa legge elettorale, la destra ha la maggioranza in Parlamento, ma non la maggioranza nel Paese».
Un elemento quasi rassicurante ma che mette allo scoperto, inevitabilmente, anche la debolezza delle scelte dei democratici che non hanno saputo tesaurizzare le esperienze di governo collezionate dal 2013 con l’unica parentesi del biennio giallo verde e hanno buttato alle ortiche il centrosinistra unito, alleandosi con cespugli che alla storia democratica e progressista non hanno mai portato bene.
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Discorsi facili con il senno di poi, mentre ora è il momento di valutare il presente. Presente che pone il Nazareno dinanzi alla sua sfida tra gli scranni dell’opposizione che Serracchiani sottolinea essere «una responsabilità importante». Il partito democratico è, infatti, «la prima forza di opposizione in parlamento, siamo quindi anche la seconda forza politica, quindi riteniamo di dover fare opposizione, riteniamo di dover fare opposizione importante anche perché abbiamo una grande responsabilità di fronte all’Europa e al Paese che sta affrontando dei passaggi delicati», afferma ancora l’esponente del Pd.
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«Una serata triste per il Paese» dice ancora prefigurando pure quella che per il Pd potrebbe rappresentare l’inizio di una riflessione profonda e dagli esiti al momento imprevedibili. Enrico Letta avrebbe, come detto, la lettera di dimissioni in tasca e la valigia per Parigi sotto il letto. E già sarebbe pronto il toto-successori (il congresso si terrà a marzo): Bonaccini, attuale governatore dell’Emilia Romagna sanguigno e concreto, secondo molti sarebbe il candidato ideale per riportare il Pd nelle simpatie della gente comune.
Dall’inizio del suo mandato al Nazareno, si tratta della prima sconfitta di Letta dopo una serie di risultati positivi. Alle ultime amministrative, dove sembrava che la destra dovesse dilagare, il Pd – con le liste civiche – è riuscito a strappare anche comuni sulla carta ‘impossibili’, come Verona. A quel precedente si aggrappavano le speranze dei dem: una rimonta che sembrava possibile. Fino a quando la terza proiezione ha messo la parola fine alla corsa.
lunedì, 26 Settembre 2022 - 09:53
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