Le foto della scena del crimine scorrono sul monitor l’una dopo l’altra. Crude, durissime. La cucina a soqquadro, le sedie rovesciate come alcuni oggetti. La camera da letto sottosopra, con il letto letteralmente fatto a pezzi: inequivocabile testimonianza di una colluttazione durata anche a lungo. E poi, subito dopo, l’obiettivo riprende l’interno di un piccolo bagno, restituendo le immagini finali di un omicidio senza senso. A terra c’è il corpo di Rosa Alfieri. La pancia semiscoperta, un seno scoperto. E lei, 23 anni, ormai senza vita, con una federa di cuscino, usata a mo’ di bavaglio, appoggiata sul collo. Quella federa era stata usa per chiuderle la bocca, per impedirle di gridare, mentre l’assassino la finiva strangolandola a mani nude.
Dinanzi ai giudici della Corte d’Assise di Napoli, il pubblico ministero Rosanna Esposito della procura di Napoli Nord manda in onda il film dell’orrore che nel febbraio dello scorso anno si è consumato nell’abitazione dell’imputato Elpidio D’Ambra a Grumo Nevano (in provincia di Napoli), e lo fa per scandire le fasi più drammatiche della requisitoria che chiude il dibattimento a carico di D’Ambra, reo confesso.
Quindi si sofferma su un particolare, quel seno scoperto, perché è la prova, secondo il pm, che D’Ambra attirò in casa Rosa allo scopo di violentarla e che la uccise solo dopo che la ragazza, come provato dalle foto sulla scena del crimine, si difese con tutte le forze possibili. Una prova che, a parere del magistrato, sconfessa con quanto da D’Ambra sempre sostenuto, ossia che lui non voleva abusare di Rosa. D’Ambra, invece, ha cercato di sminuire le proprie responsabilità dando la colpa alla droga: «Avevo degli stupefacenti in testa… Non ero io, era un mostro che stava lì», disse in aula lo scorso novembre. Il pm non gli crede. E incalza: «Togliere la vita a una ragazza di venti anni per un motivo cosi spregevole desta le coscienze di tutti noi. Non è pensabile che una donna parcheggi l’auto nella sua abitazione e non esca più viva». Quindi affonda il colpo e avanza la richiesta di pena: «Chiedo il riconoscimento dell’aggravante dei motivi abietti e futili, il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e l’ergastolo per l’imputato».
Il magistrato smonta anche la dichiarata, da D’Ambra, mancanza di lucidità al momento del fatto per via dell’assunzione di crack e cocaina. «La sua condotta – osserva il pm è stata assolutamente consapevole, lucida e calcolatrice». Dopo avere compiuto l’omicidio, secondo il sostituto procuratore Esposito, D’Ambra ha compiuto una serie di azioni che testimoniano la consapevolezza del terribile gesto compiuto: «Nasconde il corpo della vittima, – dice Esposito – va via da casa per non farsi trovare, butta il cellulare, si reca a Napoli, si cambia. Poi, il giorno dopo, va ospedale per farsi refertare un presunto stato di alterazione psichico. Può dichiarare quello che vuole – sottolinea la pm – ma è tutto inverosimile».
Si torna in aula il 4 aprile per le conclusioni dell’avvocato Gianmario Siani della Fondazione Polis, costituitasi parte civile: il 12 aprile invece discuteranno il legale della famiglia Alfieri, Carmine Biasiello e l’avvocato Mattia Cuomo, legale dell’imputato, che cercherà di puntare alle attenuanti.
Nel febbraio dello scorso anno Elpidio D’Ambra attirò Rosa in trappola. Lei aveva varcato il cancello della palazzina dove abitava e dove viveva pure D’Ambra, che aveva preso in fitto una delle proprietà degli Alfieri. D’Ambra l’aveva vista e con una scusa, forse chiarimenti sulle bollette, l’aveva fatta entrare in casa per poi aggredirla. La mamma di Rosa, che abitava al piano di sopra, non aveva sentito urlare la figlia perché aveva l’aspirapolvere accesa. Ad accorgersi che c’era qualcosa che non andava fu il fidanzato di Rosa, che l’aveva lasciata sotto casa e non l’aveva vista uscire. Quindi, avvisata la suocera, si misero a cercare Rosa, bussando persino alla porta di casa di D’Ambra che ebbe il coraggio di aprire e dire di non avere visto la giovane.
martedì, 28 Marzo 2023 - 19:11
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