Prof assente 20 anni su 24, destituita per come ha tenuto lezione in 4 mesi a Chioggia: la Cassazione sostiene il Miur

scuola banchi

In 24 anni di servizio ha lavorato sì e no 4 anni: altri 20 anni li ha collezionati di assenze. Possibile se si tratta di dipendente statale. Uno schiaffo ai lavoratori seri, ma sopratutto a quelli che hanno poche o zero tutele e lavorano con febbri o gravi problemi familiari perché non possono concedersi il lusso di un giorno di malattia. La storia è emersa oggi a seguito della sentenza della Cassazione che ha confermato la destituzione del pubblico dipendente.

La protagonista di questa vicenda è una insegnante di storia e filosofia alla scuola secondaria, destinataria di assegnazioni annuali in quanto moglie di un ufficiale della Guardia di Finanza. A spingere il Miur ad accendere i riflettori sulla docente è stato quanto accaduto durante i soli 4 mesi di fila di lezione che la donna ha tenuto in una scuola secondaria di Chioggia, quattro mesi che le sono costati il posto. Secondo le lamentele degli studenti divenute oggetto di verifica da parte di tre ispettrici del Miur, la docente si era dimostra disattenta «verso gli alunni durante le loro interrogazioni» in quanto intenta a un «uso continuo del cellulare con messaggistica». In una classe, aveva utilizzato le foto del libro di testo che servivano per fare la verifica in un’altra classe. Mentre interrogava, capitava che si mettesse a parlare con uno studente diverso da quello che doveva rispondere. Altra accusa formulata dal Miur anche la «scarsa cura delle lezioni».

Accertate pure «le gravi imprecisioni nel redigere i programmi finali delle classi quarte (ad esempio, programma e numero di ore diversi da quelli effettivamente dedicati alle spiegazioni, argomento su Hegel in realtà mai trattato in classe)». Il monitoraggio delle tre ispettrici inviate dal Miur, nel marzo 2013, culminava nel «concorde giudizio» sulla «assenza di criteri sostenibili nell’attribuire voti, la non chiarezza e confusione nelle spiegazioni, l’improvvisazione, la lettura pedissequa del libro di testo preso in prestito dall’alunno, l’assenza di filo logico nella sequenza delle lezioni, l’attribuzione di voti in modo estemporaneo ed umorale, la pessima modalità di organizzazione e predisposizione delle verifiche». Di qui la decisione del Miur di destituire la docente e l’inizio di un braccio di ferro legale.

Nel 2018 il Tribunale, in primo grado, aveva no alla destituzione ritenendo che nonostante «la disorganizzazione e faciloneria» della docente, l’ispezione di tre giorni fosse un periodo di osservazione «troppo breve» per certificare «una inettitudine assoluta e permanente». Sentenza ribaltata in Appello e poi confermata dalla Corte di Cassazione. La prof si era ‘appellata’ alla «libertà di insegnamento». «La liberà di insegnamento in ambito scolastico – sottolinea la Cassazione che ha respinto il ricorso della docente contro il Miur – è intesa come autonomia didattica diretta e funzionale a una piena formazione della personalità degli alunni, titolari di un vero e proprio diritto allo studio». «Non è dunque libertà fine a se stessa, ma il suo esercizio – prosegue il verdetto 17897 – attraverso l’autonomia didattica del singolo insegnante, costituisce il modo per garantire il diritto allo studio di ogni alunno e, in ultima analisi, la piena formazione della personalità dei discenti». Ad avviso degli ‘ermellini’, dunque, il concetto di libertà didattica «comprende certo una autonomia nella scelta di metodi appropriati di insegnamento» ma questo «non significa che l’insegnante possa non attuare alcun metodo o che possa non organizzare e non strutturare le lezioni».

domenica, 25 Giugno 2023 - 17:59
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