L’ultimo padrino delle stragi 92-93, o il boss dei misteri. Tante ombre intorno a Matteo Messina Denaro, il capo dei capi di Cosa Nostra morto nelle prime ore di oggi. Sfrontato e arrogante fino all’ultimo. Mesi fa, ai pm palermitani diceva: «Mi avete preso solo per la mia malattia», il cancro al colon che lo stava divorando. Ai magistrati ribadiva di non volersi «pentire». Del resto, negava perfino di essere «un mafioso». Come si dice in questi casi, è morto portandosi nella tomba i suoi segreti. E ne aveva tanti. Il primo enigma, come ovvio, riguarda la sua latitanza. Prima del 16 gennaio di quest’anno, giorno dell’arresto, era in fuga dalla metà del 1993. All’inizio, assieme al padre, Francesco. Il genitore morì il 30 novembre del 1998 in latitanza, nelle campagne di Castelvetrano (Trapani), paese d’origine dei Messina Denaro.
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Morto Ciccio Messina Denaro, il testimone dell’ala corleonese della provincia di Trapani è passato a Matteo. Per anni, nell’anniversario della morte, il figlio ha fatto pubblicare necrologi sul Giornale di Sicilia, unico segno della sua esistenza in vita. Una sopravvivenza messa in dubbio da più di un collaboratore di giustizia. Ma alla macchia, è diventato anche padre, come nella tradizione dei capimafia. Ha una figlia, Lorenza, nata nel 1996, che il l 14 luglio 2021 lo ha reso nonno di un bambino. Tanti misteri, diversi soprannomi – Diabolik, u Siccu – un volto invisibile.
L’ultimo grande capo di Cosa Nostra è stato più volte vicino alla cattura, sfuggito sempre misteriosamente, e in altre occasioni il suo nome è collegato a blitz falliti e clamorosi errori: come nel 2018 quando le forze speciali olandesi bloccarono ad armi spianate un uomo in un ristorante dell’Aja convinti di avere tra le mani uno degli uomini più ricercati al mondo. Invece si trattava di un turista inglese di Liverpool in Olanda con il figlio per il Gran Premio di Formula. Un clamoroso scambio di persona che suscitò anche qualche attrito nel mondo dell’Antimafia, con la Procura di Palermo esclusa all’epoca dall’operazione.
Matteo Messina Denaro è al centro della stagione stragista della mafia. Condannato per Capaci, via D’Amelio e per gli eccidi del 1993 a Roma, Firenze e Milano, oltre che per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito, sciolto nell’acido. Decine gli omicidi per cui è stato condannato, fra questi Vincenzo Milazzo e Antonella Bonomo, che era incinta. Di lui si trovarono lettere a Bernardo Provenzano, nel covo di Montagna dei Cavalli: «Qui a Marsala (Trapani, ndr) scriveva stanno arrestando pure le sedie».
Altri grandi interrogativi riguardano le fortune economiche del boss. Gli inquirenti sono sicuri che disponesse di un patrimonio cospicuo e che gestisse affari in vari settori. Alcune piste portano in Svizzera. Tutto ciò, al netto delle confische effettuate negli anni della latitanza. Alcune stime, parlano di 4 miliardi di euro sottratti alla rete di prestanome del capomafia di Castelvetrano. Un altro capitolo scottante, invece, riguarda l’archivio accumulato negli anni alla macchia. Documenti personali e anche legati alla storia di Cosa nostra, come quelli spariti dall’ultimo covo di Totò Riina. Anche qui, come per il tesoro nascosto del padrino, il lavoro dei pm continua, per decifrare piste e aprire nuovi scenari, anche dopo le carte acquisite nei covi di Messina Denaro, perquisiti dopo la cattura.
Da numero uno dei ricercati italiani, si sarebbe scoperto perfino “scrittore”. “Lettere a Svetonio”, libro pubblicato nel 2008 a sua firma – si pensa a sua insaputa -, riporterebbe secondo alcuni una serie di scritti con un misterioso interlocutore. Un politico – forse anche agente dei Servizi segreti celato sotto il nome di “Svetonio” – cui l’inconsapevole boss fiduciosamente si rivolgerebbe firmandosi col nom de plume di “Alessio”. L’epistolario di Matteo-“Alessio” esprime la condizione di una certa mafia siciliana sospesa tra l’antica fase contadina e quella metropolitana e transnazionale. Anche questa storia resterà avvolta nel mistero.
lunedì, 25 Settembre 2023 - 17:09
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