Una storia infinita. Che ogni volta sembra promettere nuovi e attesi sviluppi ma che, puntualmente, evapora come una bolla di sapone. La procura della Repubblica di Roma ha chiesto l’archiviazione dell’ultima indagine sul delitto di via Poma a Roma, ossia sull’omicidio di Simonetta Cesaroni, trovata morta nell’ufficio dell’Associazione alberghi della gioventù, al terzo piano di uno stabile nel cuore del quartiere Prati. Il fascicolo era stato aperto nel marzo del 2022 dopo un esposto presentato dai familiari della ragazza uccisa con 29 coltellate. Nel corso dell’indagine sono stati ascoltati una ventina di testimoni e sono stati rianalizzati gli atti dei processi svolti negli anni. Al termine degli accertamenti non sono emersi elementi utili per proseguire le indagini. I familiari di Cesaroni però non si arrendano nella ricerca della verità e a novembre hanno depositato a piazzale Clodio un nuovo esposto. Una storia infinita, appunto.
Ad oggi, nonostante i numerosi approfondimenti condotti anche grazie all’ausilio delle più moderne tecnologie, l’assassino di Simonetta Cesaroni non è mai stato individuato. E il principale sospettato, il solo per il quale vi sia stato un processo, è stato assolto con sentenza definitiva: si tratta di Raniero Busco, l’ex fidanzato della ragazza, che in primo grado era stato condannato a 24 anni di carcere. Tante le persone interrogate nel corso degli anni.
Sul caso vi è stata anche un’istruttoria da parte della commissione parlamentare antimafia della precedente legislatura. Nelle risultanze dell’attività svolta i parlamentari affermano che il portiere dello stabile, Pietro Vanacore poi morto suicida, «scoprì il cadavere» di Simonetta Cesaroni «ore prima dell’ufficiale ritrovamento del corpo». A detta della commissione vi fu una attività «post delictum, intesa ad occultare il fatto omicidiario o quantomeno a differirne la scoperta, oppure persino ad attuare un qualche proposito di spostamento della salma dal luogo in cui fu poi rinvenuta».
Per i parlamentari «resta ragionevole credere che l’omicida fu persona che aveva un notevole livello di dimestichezza con lo stabile, se non proprio con l’appartamento. Si deve essere trattato di persona che poteva contare su un rapporto di confidenza con la vittima o che era in grado di approfittare della fiducia di Simonetta o quantomeno, in via subordinata, di non indurla in sospetto o in allarme, trovandosi a tu per tu, in situazione di isolamento». E ancora: «Rimane estremamente probabile che l’omicida sia di gruppo sanguigno A, perché sarebbe altrimenti poco spiegabile che a tale gruppo sanguigno debbano essere ricondotte le macchie ematiche rinvenute su interno, esterno e maniglia della porta della stanza dove venne ritrovato il cadavere».
Delle molte ipotesi «avanzate per spiegare questa risultanza degli esami sui reperti ematici, tutte comunque risultano conducenti nell’identificare il sangue repertato nell’appartamento come quello dell’omicida, magari anche frammisto a quello della vittima. Appare altamente probabile che l’aggressore si sia ferito nella colluttazione e nella ancor più feroce e violenta dinamica omicidiaria», scrive nell’atto conclusivo la commissione. Ma oltre, sino ad oggi, non si è riusciti ad andare.
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mercoledì, 13 Dicembre 2023 - 19:51
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