Il sovraffollamento carcerario è un fallimento per le istituzioni ma il governo guidato da Giorgia Meloni non se ne cura e, anzi, la politica sicuritaria e giustizialista che sta mettendo in campo peggiorera’ la situazione. Non ci sono mezzi termini nell’analisi che le toghe progressiste di Area Democratica per la giustizia fanno del fenomeno carcerario e delle sue emergenze. Con un lungo documento stigmatizzano le principali questioni e le preoccupazioni per quello che accadrà.
Nel 2023 si contano 68 suicidi in carcere. «La scelta di porre fine alla propria vita da parte di una persona detenuta non può spiegarsi semplicemente come mero esito di dolorosi percorsi personali, ma – dice la nota di Area – rappresenta un fallimento per lo Stato e le sue istituzioni. Un suicidio in carcere non è perciò una vicenda privata o un problema del carcere, ma è un fatto di rilevanza sociale e politica».
Non v’è dubbio che tra le prime cause del fenomeno vi sia l’attuale condizione di sovraffollamento carcerario. Sappiamo che «alla data del 30 novembre scorso le persone detenute presenti nelle carceri italiane erano 60.116, a fronte di una capienza regolamentare di 51.272 posti, con un tasso medio di sovraffollamento carcerario pari al 120% e con punte drammatiche del 160% in alcune realtà come quella della Puglia. Sono dati che suscitano una profonda preoccupazione, anche perché destinati nel futuro a crescere rapidamente, come dimostra il tasso progressivo di occupazione che dal 2020 ad oggi non si è mai fermato e dà anzi segnali di forte accelerazione (53.364 nel 2020; 54.134 nel 2021; 56.196 nel 2022; dato parziale a novembre 2023: 60.116)».
Il sovraffollamento carcerario pone «a rischio i diritti fondamentali dei detenuti, perché li priva dello spazio minimo vitale; li relega ad una maggiore intollerabile promiscuità nell’uso dei servizi e nella fruizione delle risorse; limita e comprime l’accesso al trattamento ed alle opportunità che esso deve offrire; aggrava le profonde carenze del sistema sanitario carcerario comprimendo ulteriormente diritto alla salute dei detenuti mettendo a repentaglio la loro incolumità ed il loro benessere psicofisico».
Il sovraffollamento, poi, «espone il personale di Polizia penitenziaria, già gravemente carente per le gravi scoperture di organico, a situazioni di stress e di sovraffaticamento, acuendo la conflittualità all’interno degli istituti penitenziari e la sicurezza di chi nel carcere lavora». Le cause del sovraffollamento carcerario sono certo molteplici, ma – attaccano le toghe progressiste – «sono parte della più generale e profonda crisi che vive l’intero sistema dell’esecuzione penale, ad oggi sul baratro del fallimento. Tutti, i detenuti, gli affidati e i liberi in sospensione, e da quest’anno anche molti di coloro che sono sottoposti alle pene sostitutive introdotte dalla ‘riforma Cartabia’, sono in carico ad una Magistratura di Sorveglianza ed a Servizi che – spiega Area – con organici assolutamente inadeguati e senza risorse faticano a dare una risposta tempestiva ed efficace». A fronte di una situazione la cui «gravità e drammaticità sono evidenti, le politiche governative continuano a perseguire una linea sicuritaria e giustizialista, che sta aggravando e non potrà che peggiorare il sovraffollamento carcerario. Con il Ddl approvato dal C.D.M. il 17 novembre scorso, il Governo ha previsto l’introduzione di ‘Nuove norme in materia di sicurezza pubblica, tutela delle forze di polizia e delle vittime dell’usura e dei reati di tipo mafioso’, ma che nei fatti si traducono in un complessivo inasprimento del sistema punitivo che favorisce, quando non impone, l’ingresso in carcere».
Sono previste, infatti, ben tre nuove ipotesi di reato, riassume l’associazione che riunisce le toghe progressiste, «tutte con pena superiore ai sei anni e con arresto obbligatorio in flagranza, cinque previsioni di aggravamento delle pene, già pur severe, previste per alcuni reati, si abolisce il rinvio obbligatorio della pena per donne incinte e madri con figli di età inferiore all’anno». Si disegna in tal modo un «complessivo meccanismo di automatismi e di cause ostative ai benefici penitenziari che spingono le persone in esecuzione pena dentro il carcere sulla base di presunzioni legali di pericolosità sociale, non preventivamente verificabili nella loro realtà e concretezza dal magistrato. E ciò anche a costo di sacrificare diritti fondamentali delle persone più vulnerabili come sono i bambini: se il ddl verrà approvato le donne incinte potranno essere costrette a trascorrere la gravidanza in un ambiente niente affatto salubre, come è il carcere, con rischio per la salute del nascituro, mentre anche i bambini di età inferiore ad un anno, saranno costretti a condividere il destino di carcerata della loro madre, proprio in un periodo della vita delicatissimo e in cui l’interazione con la realtà e l’ambiente libero sono fondamentali».
Se oggi le madri detenute con i loro bambini, grazie a norme di tutela dell’infanzia, sono 22 «domani anche questi numeri cresceranno. Per affrontare seriamente la crisi dell’esecuzione penale e con essa quella, intimamente collegata, del sovraffollamento carcerario, e così dare il corretto contenuto a quella ‘certezza della pena’ spesso strumentalmente e impropriamente sbandierata, non occorrono nuove pene e nuovi reati che, al contrario aggravano la crisi in atto senza assicurare alla collettività una reale maggiore sicurezza, ma occorrono interventi strutturali, di innovazione e di organizzazione, che diano all’Italia un moderno sistema di esecuzione penale in attuazione del disegno che in materia di pena è tracciato nella Costituzione».
sabato, 30 Dicembre 2023 - 16:33
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