Il clan Di Lauro voleva entrare in possesso del suo bar, ma quando l’uomo rifiutò, si ritrovò costretto a pagare estorsioni con importi da capogiro, finendo stritolato in un perverso meccanismo di cambiali e interessi. Questa mattina cinque persone, di cui tre già detenute per altra causa, sono state raggiunte da una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, per il reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso. La misura è stata eseguita dai carabinieri del Ros di Napoli e della compagnia di Casoria a carico di Vincenzo Di Lauro, figlio prediletto del boss Paolo Di Lauro e ritenuto a capo della cosca sino a pochi mesi fa (a far data dalla sua scarcerazione che avvenne per fine pena); Umberto La Monica (già detenuto per altro); Gennaro Bizzarro; Giovanni Cortese detto ‘o cavallaro (già detenuto per altro); Mario Cortese. Di Lauro è già in carcere perché arrestato a ottobre nell’ambito dell’inchiesta sui più recenti affari illeciti della cosca di Secondigliano.
Le indagini sono state avviate a seguito della denuncia sporta da un commerciante di Arzano nel novembre 2023. L’uomo ha così spiegato che, dopo avere rifiutato di cedere il suo bar ai Di Lauro. era stato costretto a pagare 70.000 euro in rate mensili da 1.000 euro ciascuna, garantite da altrettante cambiali che la vittima ha dovuto sottoscrivere e consegnare ai rei. Ogni qualvolta la vittima pagava una rata si vedeva restituita una cambiale che quindi fungeva da garanzia per il pagamento stesso. Tali corresponsioni si sono protratte fino al mese di luglio 2022 allorquando l’uomo ha deciso di cedere l’attività, pensando che potesse cessare l’imposizione. Ma ciò non avveniva. Infatti, nel mese di gennaio 2023, quando lo stesso ha aperto un altro bar in un’altra zona di Arzano, i suoi estorsori sono tornati alla carica, chiedendogli nuovamente la quota estorsiva e minacciandolo di morte al suo rifiuto. Il calvario era cominciato nell’ottobre 2020.
Ascoltato poi dal pm, l’imprenditore ha successivamente affermato che il clan Di Lauro gli aveva imposto di pagare delle somme a titolo di estorsione già a partire dal 2018 in quanto tale famiglia camorristica si riteneva proprietaria della sua attività. I militari del Ros di Napoli hanno riscontrato che la vittima, intorno ai primi giorni di gennaio del 2019, aveva corrisposto ai Di Lauro 100.000 euro in contanti per far cessare ogni loro pretesa, seppur priva di titolo, sul suo esercizio commerciale. A sostegno e prova ulteriore dei fatti anche alcune dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Roselli, detto ‘frizione’, elemento apicale del clan Amato-Pagano
lunedì, 29 Gennaio 2024 - 09:27
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