Castellammare, consigliere comunale del Pd ucciso: arrestati i mandanti. Ricostruiti altri omicidi, ordinanza per altri 6 indagati

procura di napoli
Procura di Napoli (foto kontrolab)

La (nuova) svolta nell’inchiesta sull’omicidio del consigliere comunale del Pd Gino Tommasino è arrivata a pochi giorni dalle elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale di Castellammare di Stabia. Stamattina i carabinieri hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di sei persone del clan D’Alessandro per una serie di omicidi. Tra i colpiti dalla misura restrittiva anche i mandanti dell’agguato che si consumò la sera del 3 febbraio 2009 a Castellammare di Stabia. I mandanti sono stati indicati dalla procura nel ras Vincenzo D’Alessandro, che era a piede libero, e in Sergio Mosca (attualmente detenuto in regime di 41bis). Per l’omicidio di Tommasino sono stati già condannati, con sentenza definitiva, i collaboratori di giustizia Salvatore Belviso, Renato Cavaliere e Raffaele Polito, e Catello Romano.

Proprio Belviso descrive nei minimi particolari le azioni del commando e anche il movente: «Sergio Mosca ha dato l’ordine di uccidere Tommasino Luigi direttamente a me e, nel darmelo, mi ha detto che Tommasino era una persona che, essendo diventata politicamente importante grazie all’appoggio del clan D’Alessandro, non aveva rispettato gli impegni prendendo le distanze». Polito ha anche fatto riferimento, durante le sue dichiarazioni, che le ragioni dell’omicidio erano da ricondurre a una presunta sottrazione di denaro, 30mila euro. Una informazione che afferma di avere avuto da Belviso. A dare l’ordine sarebbe stato Pasquale Mosca (che inizialmente voleva solo ferirlo alle gambe) al quale il capoclan Vincenzo D’Alessandro non si è opposto («è meglio che lo uccidiamo proprio, ce lo leviamo davanti»).

L’ordinanza cautelare ha colpito anche Paolo Carolei, Catello Romano, Michele Massa e Antonio Lucchese, ai quali sono contestati, a vario titolo, altri agguati, come il duplice omicidio di Carmine D’Antuono e Federico Donnarumma, avvenuto del 2008, quest’ultimo colpito casualmente in quanto il vero obiettivo dei killer era Carmine D’Antuono.

Catello Romano si era laureato con 110 e lode tra le mura del carcere con una tesi sulla storia criminale. Oggi la Dda gli contesta la gambizzazione, il 28 ottobre 2008, di Catello Scarica: i sicari lo colpirono mentre era fermo in auto nel traffico. I killer si avvicinarono all’auto, una smart, aprirono lo sportello e spararono due volte con una pistola calibro 9 Parabellum. Poi c’è l’omicidio di Nunzio Mascolo, avvenuto il 5 dicembre 2008 e il ferimento di Antonio Russo, avvenuto il 24 gennaio 2009, pochi giorni prima dell’omicidio di Tommasino: a Romano, per la prima volta, viene contestato con questa ordinanza, l’associazione a delinquere di tipo mafioso. La procura antimafia di Napoli gli contesta anche la partecipazione al duplice omicidio di Carmine D’Antuono e Federico Donnarumma avvenuto a Gragnano, in provincia di Napoli, il 28 ottobre 2008. Il vero obiettivo dei killer era D’Antuono, ritenuto dal clan D’Alessandro, responsabile della morte di Domenico D’Alessandro (fondatore dell’organizzazione malavitosa), fratello di Michele e del cognato di quest’ultimo, avvenuta nella cosiddetta “Strage delle Terme”. Catello Romano, insieme con i suoi complici, sparò ben 14 colpi contro D’Antuono (legato al gruppo criminale Imparato di Gragnano rivale del clan Di Martino) con una calibro 9 Parabellum che gli era stata poco prima consegnata in un sacchetto di carta da uno dei due mandanti. L’ordine ricevuto era di uccidere anche colui che si trovava in compagnia dell’obiettivo, identificato come il figlio della vittima, ma con soli due colpi. Quella persona, però, era Donnarumma e non il figlio di D’Antuono.

giovedì, 30 Maggio 2024 - 19:22
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