Napoli, i detenuti imparano a lavorare il caffé: nel carcere di Secondigliano la Kimbo accende un nuovo progetto

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Un progetto per insegnare a un gruppo di detenuti l’arte di preparare il caffè, ma anche come lavorare il terreno, come coltivare il chicco affinché queste competenze possano diventare strumento di reinserimento sociale. Questa mattina la direttrice del carcere di Secondigliano, a Napoli, la Diocesi di Napoli, e il presidente della Kimbo hanno sottoscritto un protocollo di intesa che dà il via al progetto di reinserimento “Un chicco di speranza”.

«Abbiamo ricevuto tanto dalla città di Napoli in 60 anni e più di attività e significativamente siamo e restiamo in questa area della città per manifestare la nostra gratitudine – ha affermato Mario Rubino, presidente Kimbo – Se oggi Kimbo è il caffè di Napoli, distribuito in 100 Paesi del mondo, lo dobbiamo anche alle nostre radici: siamo nati nel rione Sanità nel 1963 e i fondatori della nostra azienda, Elio, Francesco e Gerardo Rubino, hanno scelto Melito di Napoli come area per impiantare lo stabilimento industriale credendo e investendo sul territorio. Oggi sentiamo il dovere di restituire a chi tanto ci ha dato e spero di non essere l’unico e di riuscire a coinvolgere presto altri imprenditori nella mia visione di benessere e di sostenibilità sociale».

Il progetto si sviluppa su tre direttrici: la formazione professionale di barista e/o manutentore tecnico; d’intesa con i referenti dell’istituto penitenziario, sarà allestito all’interno dell’istituto un magazzino ricambi per le macchine bar di proprietà di Kimbo da riparare o rigenerare, da utilizzare nel settore Ho.Re.Ca., nonché, per i detenuti in semi-libertà, ci sarà la possibilità di prelievo e riconsegna presso i punti vendita bar delle macchine da caffè di proprietà di Kimbo su cui intervenire tecnicamente; infine, la realizzazione e coltivazione di una piccola piantagione di caffè su un terreno di 10mila metri quadrati situato all’interno dell’istituto penitenziario. «Questo caffè si chiamerà ‘caffè di Secondigliano’ – ha sottolineato Rubino – ci vorrà del tempo affinché il caffè possa crescere ed essere raccolto, ma abbiamo voluto piantare questo seme di speranza in un luogo dove tanta fortuna non c’è. Speriamo che questo campo incolto diventi il campo dei miracoli, che diventi il primo momento di rinascita». «Noi saremo molto rigidi nell’insegnare l’arte del caffè e dell’essere barista – ha affermato Rubino – perché per loro speriamo il meglio e da parte loro ci vorranno impegno, dedizione e perseveranza»”. «Attraverso le best practice lavoriamo per passare dalla rieducazione del condannato, mission dell’amministrazione penitenziaria, alla risocializzazione per arrivare alla riabilitazione partendo da un presupposto saldo: i detenuti ritornano cittadini. Oggi qui piantiamo un chicco di speranza», ha detto Giulia Russo, direttrice del carcere di Secondigliano.

Al fianco di Kimbo, del carcere di Secondigliano e della Diocesi di Napoli anche la magistratura di sorveglianza che vigilerà e supporterà le attività e gli spostamenti dei detenuti, anche con l’emissione di provvedimenti eventuali che, nei termini di legge, dovessero rendersi necessari. Il progetto è partito dall’Ufficio del lavoro dell’Arcidiocesi che si è adoperato a sensibilizzare la Kimbo affinché proponesse a favore dei detenuti dell’istituto penitenziario di Secondigliano un progetto di formazione e di avviamento al lavoro «reale e costruttivo per creare i presupposti di una cittadinanza attiva». Il progetto inoltre gode dell’assenso del Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

lunedì, 16 Settembre 2024 - 20:01
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