Indagine Federmeccanica: italiani preoccupati da costo della vita e dei servizi sociosanitari | Il report

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Dal costo della vita (21,9 per cento) al costo dei servizi sociosanitari (11,3 per cento) a problemi che toccano aspetti diversi, la presenza e il timore di possibili ulteriori conflitti bellici (13,6 per cento), il cambiamento climatico (13,2 per cento). e il futuro delle giovani generazioni (11,6 per cento) e la crisi demografica (2,5 per cento): sono le preoccupazioni che attanagliano gli italiani secondo quanto emerge dalla nuova indagine Mol – Monitor on Labor: “Dalla visione dell’Europa al ruolo dell’Industria, I sentiment(I) contrastanti degli Italiani”, curata da Daniele Marini (Università di Padova, Community Research&Analysis), e i cui risultati principali sono stati illustrati nella giornata di oggi durante l’assemblea generale di Federmeccanica tenutasi al Museo nazionale di Pietrarsa, a Portici (in provincia di Napoli).

L’indagine si è concentrata anche su temi di politica internazionale: è stato chiesto a oltre 1000 italiani in che misura l’appartenenza all’Unione Europea è ritenuta un’opportunità per l’Italia al fine di uscire dalla crisi o se, al contrario, costituisce un intralcio. Per la maggioranza degli italiani interessati dal sondaggio l’Ue costituisce un vantaggio indispensabile (22,7 per cento) o comunque un’opportunità, anche se necessiterebbe di una riflessione sul suo funzionamento (36,3 per cento). Quindi, complessivamente il 59 per cento degli interpellati evidenzia un sentiment tutto sommato favorevole all’Unione e ne intravede un ruolo positivo e di aiuto al nostro Paese.

Per contro, una parte minoritaria, ancorché cospicua, ritiene la nostra appartenenza uno svantaggio per l’economia (10,1 per cento) e il 17,8 per cento la percepisce come un ostacolo, tanto che si dovrebbe intraprendere un percorso di uscita analogo a quello realizzato dalla Gran Bretagna (Brexit): 17,8 per cento. Quindi, circa un quarto fra gli italiani (27,9 per cento) manifesta un orientamento negativo verso la Ue. Una terza parte anche in questo caso non marginale quantitativamente (13,1 per cento) non esprime alcuna valutazione, non è in grado di indicare una valutazione precisa. «Quindi, si può sostenere che per la maggioranza degli italiani l’Ue costituisce ancora un punto di riferimento essenziale e un’opportunità. Ma la salute di cui gode nell’immaginario collettivo non è così florida e presenta, per una parte considerevole fra gli interpellati, benché minoritaria, un malessere diffuso cui prestare attenzione», è la conclusione dell’indagine su questo tema.

In chiaro scuro i risultati sul valore dell’industria nello sviluppo economico del nostro paese e sul peso della nostra industria in Europa. Per gli italiani – emerge dall’indagine – è in assoluto la Germania (66,4 per cento) il paese dove l’industria ha il peso economico più rilevante. Al secondo posto collocano la Francia (29,2 per cento), seguita dalla Gran Bretagna (16,6 per cento), quindi dall’Italia (12,4 per cento). Se i dati oggettivi raccontano di un’Italia industriale che si colloca al secondo posto in Europa, e che siede ai tavoli del G7 con i paesi più industrializzati al mondo, agli occhi degli italiani non corrisponde un ruolo così centrale.

Di più, il settore che più di altri ha trainato in passato lo sviluppo economico dei territori è ritenuto essere al primo posto il turismo (27,7 per cento), seguito a distanza dall’industria (17,4 per cento) e parimenti dal commercio (15,4 per cento) e dall’agricoltura (14,9 per cento). Guardando alle proiezioni, ciò che stimolerà la crescita nei prossimi anni sarà il turismo (30,5 per cento) e il commercio (16,0 per cento), mentre sono date in declino l’industria (15,7 per cento) e l’agricoltura (14,1 per cento). Anche il ruolo delle banche è considerato per il futuro di maggior impatto per la crescita rispetto a quanto avviene oggi. «Questi esiti spiegano da soli la sindrome di una ‘dissonanza cognitiva’ degli italiani nei confronti dell’industria del proprio paese – viene rilevato nella indagine Mol -. Un immaginario collettivo dell’industria e della fabbrica che è rimasto collegato al Novecento, al fordismo, al lavoro operaio ripetitivo e alienante. In questo senso, non c’è solo un problema di scarsa conoscenza di cosa sia oggi una industria, di come si lavori o come sia organizzata, da parte della popolazione, c’è una questione legata alla percezione di un’industria avulsa dal territorio in cui insiste».

Anche per quel che riguarda l’avvento dell’Intelligenza artificiale che tanto preoccupa per le possibili perdite di posti di lavoro, pur ancora nella scarsa conoscenza di cosa sia effettivamente (solo il 40,9 per cento riesce a fornire una definizione corretta) e nella difficoltà di offrire un giudizio netto (il 64,7 per cento esprime sentimenti ambivalenti), ciò non di meno prevalgono quanti ritengono porterà più vantaggi (59,6 cento) che svantaggi (50,4 cento) nel mondo del lavoro. Di più, c’è consapevolezza che l’industria non potrà non introdurla nei suoi processi produttivi, pur avendo attenzione alla formazione del capitale umano e alla sua salvaguardia (50,0 cento). Mentre orientamenti di strenua difesa a favore dei posti di lavoro trovano spazio nel 38,5 cento degli interpellati, in particolare fra quanti svolgono mansioni esecutive e possiedono bassi livelli di studio, comprensibilmente preoccupati di essere in futuro i maggiori candidati a essere esclusi. «Dall’insieme di questi aspetti prende corpo ancora una ‘centralità’ attribuita all’industria nello sviluppo. Nella popolazione – si sottolinea nella indagine – c’è comunque la consapevolezza che l’industria abbia realizzato dei processi di innovazione tecnologica (66,9 per cento). E che, se l’industria va bene, ciò si riverbera su tutto il territorio (63,8 per cento), perché è un traino per tutti gli altri settori (59,5 per cento). E, ancora, è in queste imprese che si possono generare opportunità di crescita professionale per le giovani generazioni (52,7 per cento). Alla fine, il 21,4 per cento degli italiani ritiene che il ruolo dell’industria sia ancora ‘centrale’ per il futuro del paese, e il 54,8 per cento le assegna una funzione ‘rilevante’. Dunque, complessivamente il 76,2 per cento crede nelle potenzialità e nel ruolo dell’industria per lo sviluppo futuro».

giovedì, 26 Settembre 2024 - 19:21
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