Soggiornare fuori casa, prenotare una camera in strutture di ricezione – che siano alberghi o b&b – chiedere il saldo del conto. Azioni che ogni giorno compiono migliaia di italiani. Ma in quanti si chiedono che fine facciano i pochi euro aggiunti al totale e destinati alle famose «tasse di soggiorno turistico»? Lo hanno fatto gli inquirenti della Procura della Repubblica di Torino che, in oltre due anni di indagine, hanno portato alla luce la diffusione a macchia di leopardo del fenomeno di peculato tra gli albergatori. Peculato sì, perché è questo il reato che i pubblici ministeri della città del Lingotto stanno contestando a numerosi titolari di strutture ricettive denunciati e processati per non avere versato ai Comuni il denaro raccolto con la tassa di soggiorno. Il primo dei procedimenti, avviato nel 2015, si è chiuso in queste settimane in Corte d’Appello con la condanna dell’imputato. Gli ultimi casi riguardano strutture alberghiere dell’alta Valle di Susa e sono stati segnalati alla magistratura dalla Guardia di Finanza di Bardonecchia. Per quel che riguarda il territorio del comune di Torino, nel 2017 la Polizia Municipale si è occupata di 16 pratiche: circa la metà si è trasformata in una notizia di reato. I giudici hanno accolto l’impostazione della procura torinese, secondo la quale i responsabili delle strutture ricettive, quando raccolgono la tassa di soggiorno, diventano «incaricati di pubblico servizio». La mancata trasmissione delle somme ai Comuni di pertinenza configura dunque il reato di peculato. Sono poche le denunce che vengono archiviate o chiuse per tenuità del fatto a causa dell’esiguità della quota di denaro (in questi casi poche decine o centinaia di euro) trattenuta dagli albergatori. La maggior parte sfocia in una richiesta di rinvio a giudizio. Ma cosa si rischia? Ammonta a due anni di carcere (con il rito abbreviato) la condanna inflitta dalla Corte d’Appello di Torino all’albergatore colpevole di non avere versato il ricavato della tassa di soggiorno al Comune di competenza. Uno degli avvocati dei numerosi titolari di strutture ricettive indagati dalla procura di Torino, Chiara Vittone, è del parere che le norme vadano cambiate. «Il problema – ha dichiarato alle agenzie di stampa – è che il reato si considera compiuto nel momento in cui bisogna versare la somma. A volte capita che l’imprenditore, in difficoltà, decida di rimandare, magari privilegiando il pagamento dell’Iva o degli stipendi al personale. Ebbene, finisce indagato. Anche se presenta regolarmente le dichiarazioni dei clienti, rateizza o provvede qualche settimana più tardi. Questa, al più, dovrebbe essere una questione civilistica». Secondo l’avvocato inoltre «manca l’elemento soggettivo: come poteva pensare un albergatore di essere diventato un incaricato di pubblico servizio?». «In Cassazione – conclude – daremo battaglia. Magari cambieremo qualcosa».
lunedì, 12 Febbraio 2018 - 11:00
© RIPRODUZIONE RISERVATA