Se lo scandalo delle indebite ingerenze nelle nomine dei capi di procura non avesse travolto il Csm, probabilmente Paola Cameran, attuale sostituto procuratore generale in Corte d’Appello a Venezia, non sarebbe mai scesa in campo. Perché «ho esercitato sempre e solo la giurisdizione», perché sono «abituata a spalare carte» e «aliena da protagonismi», spiega. Ma quello tsunami, che «fortunatamente si è verificato», ha cambiato la sua prospettiva: «Ho accettato la candidatura perché mi sono convinta di dovere andare oltre l’impegno personale sul lavoro e il ripudio delle logiche di appartenenza, oltre la testimonianza silenziosa.
E, allora, eccola qui, l’outsider Paola Cameran, una «candidata di strada» come si definisce lei che non esiterà «ad accendere un faro su ogni episodio non eticamente corretto»: in magistratura dal 1985, ha coordinato inchieste sull’ambiente, sull’esposizione all’amianto nei cantieri di Monfalcone, sul doping. Alle elezioni suppletive del Csm per il posto di consigliere in rappresentanza dei pubblici ministeri, Cameran (che è iscritta ad Area) si presenta con un programma articolato in 9 punti costruito in buona parte sulla necessità di evitare che in futuro «si ripetano concentrazioni di potere che si prestano ad abusi, come è accaduto» e sulla speranza che, d’ora in poi, il solo motore dell’operato di un consigliere del Csm sia «il disinteresse».
Per scongiurare il rischio che, nell’immediato futuro, possano ripetersi storie simili allo scandalo agostano che ha squassato il Csm, Paola Cameran ritiene indispensabile una misura «temporanea» ma rigida: «E’ necessario un congruo periodo di tempo prima che i consiglieri uscenti del Csm possano assumere altri incarichi, fuori ruolo o politici o di tipo direttivo. La necessità di incompatibilità temporanee è figlia della degenerazione del potere correntizio, finalmente venuta allo scoperto, perché se si accende un faro sugli imbrogli, si pone la prima condizione perché questi cadano sotto il ridicolo e sotto il biasimo di tutti coloro che li osservano». Hanno invece natura strutturale e stabili altri interventi che Cameran vorrebbe introdurre, se eletta, con l’appoggio del Consiglio: «Mi impegno ad adoperarmi per la previsione di incompatibilità temporanea tra incarichi fiduciari del potere politico e candidatura del Csm o incarichi di tipo di direttivo, ma anche tra incarichi fuori ruoli, candidatura del Csm o incarichi di tipo direttivo. Introduzione di normativa che impedisca le porte girevoli tra magistratura e politica. modifica normativa che consenta l’accesso in magistratura con un concorso di primo grado e riporti a tre anni il termine di legittimazione per il trasferimento dopo la prima nomina». Con la stessa determinazione Cameran propone 4 modifiche «per evitare caccia alle medagliette e di costruzione di carriere di tipo verticale»: «Si deve procedere con la valorizzazione dell’anzianità e dell’esperienza giudiziaria; necessaria trasparenza e pubblicità di tutte le domande e dell’iter delle proposte; il Csm proceda ad audizione dei candidati. Almeno nelle procedura di conferma, siano sentiti i magistrati dell’ufficio, e sia dato rilievo alla qualità dell’attività svolta, come la capacità di fare squadra e di dialogare con l’esterno».
Un programma chiaro, così come è chiara l’idea di Consiglio superiore della magistratura che Cameran vorrebbe e vorrebbe contribuire a creare, ché, traspare implicitamente dalle sue parole, il ‘parlamentino’ di giudici e pm ha molto da migliorare e molto, forse, anche da farsi perdonare: «Vorrei un Consiglio all’altezza dei compiti che la costituzione gli ha assegnato, che governi la magistratura, che stabilisca con indipendenza le regole che nel rispetto della legalità servano a rendere giustizia e che contribuisca alla definizione delle linee di politica giudiziaria utilizzando gli strumenti attribuitigli dalla legge. Vorrei un consiglio che si ponga accanto agli uffici e ai loro dirigenti per conoscerne il funzionamento e che intervenga in loro sostegno; che realizzi canali di comunicazione stabili con i singoli uffici per comprendere se giudici e pm, e personale amministrativo, siano sufficienti a fare fronte ai carichi di lavoro e a combattere la criminalità, che verifichi queste informazioni recandosi nei distretti e ed ascoltandoli; che basi su queste le politiche di assegnazione dei nuovi magistrati, di mobilità, nomina e conferma dei dirigenti, che proponga regolarmente e pubblicamente al ministero della giustizia l’assegnazione delle risolse umane e tecnologiche indispensabili ad assicurare la ragionevole durata dei processi; che liberi il giudice dalla sua solitudine, promuovendo e sostenendo l’ufficio per il processo; che segue capillarmente l’attuazione delle innovazioni telematiche, che si dia tempi certi per ogni procedura e decisione, che spieghi le sue decisioni principali con comunicazioni ragionate istituzionali, che non sia il posto delle deroghe, che abbandoni definitivamente pratiche opache, nomine incrociate, nomine a pacchetti, concorsi mascherati per magistrati segretari dell’ufficio studi. Vorrei un Csm che senta sulle sue spalle tutta la corresponsabilità ciò che non va negli uffici, delle scelte sbagliate di alcuni dirigenti, dei ritardi dei magistrati che passano la loro vita professionale a combattere con carichi impossibili e che vivono con l’ansia dell’errore».
E lei è pronta a dare l’esempio: «Se dovessi essere eletta, non accetterò incarichi direttivi o politici o fuori ruolo per i quattro anni successivi al termine del mandato. E mi impegno a rinunciare all’indennità prevista per i consiglieri del Csm, fermo restando i rimborsi previsti, perché penso che quella di consigliere mi sembra importante dare un segno anche tangibile del mio disinteresse».
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venerdì, 4 Ottobre 2019 - 16:43
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