Applauso ironico e frasi irrispettose all’indirizzo del pm: imputato condannato Ecco perché non è ‘esercizio di critica’

Cassazione

L’imputato e i suoi parenti possono criticare una sentenza purché il dissenso non sfoci nell’insulto dei giudici e del pubblico ministero che ha sostenuto l’accusa. E, si badi bene, sotto la voce di insulto va catalogato anche l’applauso ironico preceduto da esternazioni poco pertinenti al diritto di critica.

C’è una sentenza della sesta sezione penale Corte di Cassazione (n. 48555 depositata il 28 novembre 2019) che ancora una volta delimita il perimetro delle critiche poste da un imputato verso la decisione di un Tribunale. La storia riguarda il siciliano Vincenzo Cilona, di 28 anni, che il 23 novembre del 2013 venne condannato in primo grado (dai giudici della quarta sezione penale del Tribunale di Palermo) a 19 anni di reclusione per concorso nel tentato omicidio di due extracomunitari. Alla lettura della sentenza, i parenti iniziarono ad urlare e ad inveire. Cilona rivolgendosi al pubblico ministero esclamò: «Adesso è contento pubblico ministero?», facendo seguire un applauso. Per questa esternazione Cilona è finito sotto processo con l’accusa di oltraggio a un magistrato di udienza. E per questa accusa è stato condannato sia in primo grado dal giudice monocratico del Tribunale di Caltanissetta (sentenza del 16 settembre del 2015), sia dai giudici della Corte d’Appello di Caltanissetta (14 dicembre 2017). Cilona ha dunque tentato il ricorso per Cassazione: la difesa ha sostenuto che si era in presenza di «libero esercizio di critica». Ma gli ermellini, nelle motivazioni della sentenza depositate ieri (il dispositivo di conferma della decisione dell’Appello, invece, è di marzo), hanno specificato perché la condotta di Cilona ha «offeso l’onore e il prestigio del rappresentante della pubblica accusa».

Per la Corte Suprema il comportamento di Cilona non può considerarsi un «mero sfogo difensivo rivolto a disapprovare l’attività del pubblico ministero», perché «la condotta posta in essere si è estrinsecata in un insulto secco, proferito fuori da atti procedurali di pertinenza dell’imputato e senza collegamenti a specifiche e concrete argomentazioni difensive». Per la Cassazione  l’espressione indirizzata al pm «ha assunto una evidente e obiettiva natura oltraggiosa per le modalità irriguardosa e perentorie con cui è stata proferita, proprio alla stregua del contegno irrispettoso dell’imputato, accompagno da eloquente gestualità dell’ironico applauso».

La Cassazione ha dunque ribadito il principio secondo il quale «ai fini della configurabilità del reato di oltraggio, rientrano nell’ambito del legittimo esercizio del diritto di critica le espressioni o gli apprezzamenti che investono  la legittimità o l’opportunità del provvedimento, non invece quelli rivolti alla persona del magistrato. La giurisprudenza della Suprema Corte ha sottolineato che l’esercizio del diritto di critica presuppone che le espressioni debbano essere contenute nei termini corretti e misurati e non assumano toni lesivi della onorabilità del destinatario».

Cilona era sbottato dopo la sentenza perché riteneva di avere subito una condanna ingiusta. Una condanna che, in secondo grado, è stata cancellata: in Appello è stato assolto per non avere commesso e la sentenza è divenuta irrevocabile. Ad accusarlo era stata una delle vittime, le cui dichiarazioni però sono state giudicate «non attendibili»; le intercettazioni poste a sostegno dell’accusa come riscontro al racconto delle parti offesi sono state giudicate deboli perché hanno fornito «elementi di contrasto». Per l’accusa di tentato omicidio Cilona è stato detenuto tre anni in carcere (dal 29 ottobre del 2011 al 29 ottobre 2014) ed ha avanzato richiesta di riparazione per ingiusta detenzione. Tuttavia la richiesta di riparazione è stata respinta con sentenza della Cassazione per la condotta tenuta da Cilona che «aveva a più riprese rilasciato dichiarazioni false, mutando ripetutamente versione e inducendo il sospetto di essersi precostituito un alibi falso; e ciò ha avuto rilievo causale decisivo sull’addizione della misura cautelare, integrando quindi un comportamento gravemente colposo ed ostativo al riconoscimento della riparazione».

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venerdì, 29 Novembre 2019 - 11:33
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