Fare i «reati veri», quelli che nell’ambiente criminale ti accreditano e ti consentono di «tenere il paese in mano». Ché sei fai lo spaccio di droga o le rapine, resti sempre un criminale di serie B e rischi pure condanne severissime. Invece i «reati veri», gli omicidi, ti consentono di scalare la gerarchia criminale e se ti va bene «prendi 18/19 anni». Che è una pena severa ma, per chi vive nel mondo sottosopra della camorra, è un rischio che vale la pena di essere corso perché l’essere associato alla commissione di un omicidio ti dà potere.
Le intercettazioni che sono al cuore dell’inchiesta che stamattina ha colpito un’articolazione del clan Moccia, quella guidata da Renato Tortora e attiva a Casoria, raccontano molto non solo di condotte criminose compiute ma soprattuto della mentalità di chi vive nella camorra. Emblematica, in tal senso, è una conversazione che viene intercettata il 4 dicembre del 2018 tra Francesco Carpentieri (finito in cella con l’accusa di estorsione aggravata) e Rosario Garzia (in carcere per camorra ed estorsione).
Garzia vuole fare il salto di qualità, commettere rapine gli sta stretto. «Tu pensi ai 5 euro – dice a Carpentieri, rimproverandolo per la sua scarsa ‘ambizione’ – Francé, io sto pensando a fare i reati veri. Io mi sono scocciato di fare le rapine.. ma per quanto tempo puoi andare avanti?». Quindi Garzia spiega di essere pronto a commettere omicidi, se ciò vuol dire diventare importante: «Che dobbiamo fare per fare soldi, dobbiamo schiattare la testa alla gente? Io schiatto la testa alla gente, ok?! Io le rapine non le voglio fare più. Se devo prendere 12 anni di carcere per una rapina come li ha preso quello… 12 anni.. hai capito quanti sono 12 anni? Qua se fai un omicidio prendi 18/19 anni di carcere. Ma tu permetti che ho un paese in mano e prendo soldi, ma chi li deve fare più questi reati da mongoloide».
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martedì, 10 Dicembre 2019 - 16:35
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