Il ras Salvatore Silvestri non era il solo esponente del clan Lo Russo a usare in carcere un telefonino cellulare per dialogare con la compagna e gli affiliati in libertà. Dagli atti dell’inchiesta che hanno colpito i ‘nuovi’ Lo Russo emerge che altri due esponenti del sodalizio, in un periodo peraltro assai recente (siamo nel 2018), hanno avuto nella propria disponibilità dei telefonini cellulari. Stavolta l’episodio è accaduto nel penitenziario di Secondigliano, circostanza che fa tornare alla memoria la denuncia del procuratore Giovanni Melillo durante la sua audizione in Commissione parlamentare antimafia.
Era il 24 ottobre dello scorso anno e il magistrato spiegò che «vi sono istituti penitenziari assolutamente fuori controllo», dove «dominano le organizzazioni mafiose» che riescono non solo a usare cellulari per abbattere le barriere di comunicazione con l’esterno ma che addirittura hanno allestito in prigione «autentiche piazze di spaccio».
Affermazioni fortissime che si legano a doppio filo all’inchiesta, coordinata dai pm antimafia Enrica Parascandolo e Alessandra Converso, che ha ricostruito il nuovo organigramma del clan Lo Russo, lacerato da arresti e pentimenti ma nonostante questo ancora in vita.
Alessio Peluso e Luciano Pompeo sono i due detenuti che nel carcere di Secondigliano sono riusciti ad utilizzare un telefonino cellulare. Per comunicare con le rispettive moglie, ossia Mariarca Bosti e Martina Bosti, ma anche per comunicare con uno dei tre reggenti del sodalizio, Matteo Balzano. Una beffa per lo Stato, che tuttavia non è passata sotto traccia. Ché la procura è riuscita ad intercettare quelle utenze ed ha così spiato le conversazioni in entrata e in uscita da quel cellulare.
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giovedì, 13 Febbraio 2020 - 15:05
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