Della via «più popolosa e gaia del mondo», come la definì Stendhal non c’è traccia. In questa calda giornata di maggio che segna l’avvio della ‘fase 2’, via Toledo sembra un’anonima strada di una piccola cittadina nel pieno dell’estate agostana. Le saracinesche dei negozi sono tutte abbassate. Il sole batte sul basolato alternandosi all’ombra rimandata dai palazzi, antichi e alcuni poco curati. C’è chi passeggia, ma, rispetto alla folla di turisti, studenti e persone che prima dell’emergenza si riversavano in quella che è una delle zone più commerciali della città, il flusso pedonale è risibile. C’è obbligo di indossare la mascherina in Campania. E i napoletani rispondono ligi alle direttive. Solo qualcuno, ma i casi sono davvero rari, la indossa male, spostandola sotto il naso.
All’esterno dei bar non c’è calca. I titolari delle attività si sono adeguati alla disposizione di vietare l’ingresso ai clienti. C’è chi per ostruire il passaggio ha piazzato un tavolino, sul quale viene poggiato il caffè monouso da servire al cliente rigorosamente chiamato a portare via la consumazione. Qualcuno ha spostato il bancone davanti alla porta. «Vediamo come andrà – ci dice il titolare di un bar – Oggi è il primo giorno. Certo, la clientela è persa all’80% perché non c’è ricambio nel locale. Ma per me era importante ritornare al mio lavoro. Tra qualche giorno faremo un bilancio, oggi è troppo presto». Molti altri bar hanno deciso di non aprire: i costi di gestioni da sostenere non sarebbero stati compensati dalla vendita (limitata) di caffè. In piazza Trieste e Trento, che apre lo sguardo a Piazza del Plebiscito il noto e storico Caffè del Professore è rimasto chiuso. Anche il Gambrinus ha le saracinesche abbassate. In piazza c’è un’auto dei carabinieri, davanti al Palazzo reale vi è una camionetta della polizia: sono impegnati nei controlli e a vigilare che non vi sia assembramento. E, assembramento non c’è. Chi è sceso per una passeggiata si guarda bene dal mantenere le distanze. Qualcuno oltre alla mascherina indossa anche i guanti.
Anche via Chiaia è irriconoscibile. Qui i bar sono pochissimi, a dare vita alla zona sono i negozi. Il Dpcm del 26 aprile ha sbarrato loro la possibilità di riaprire. Sulle porte di ingresso c’è un cartello bianco attaccato con lo scotch: «#Iononriapro». I negozianti li hanno affissi pochi giorni fa denunciando il dramma che rischia di colpire loro e un intero settore: in tanti temono di dovere chiudere per sempre, ché gli aiuti arrivati non sono sufficienti e alcuni di quelli promessi non si sono ancora visti. Scene di deserto anche nella Galleria Umberto I e in piazza Municipio dove, nel giro di pochi metri, insistono quattro bar. Ne è aperto uno solo. Pochi passi più in là, in via Cervantes, un altro bar è rimasto chiuso. Qualcuno è seduto sulle panchine. Ma non c’è ‘vicinanza’. Ci si tiene a debita distanza anche all’esterno del Monte Paschi di Siena: c’è una fila composta per entrare al fine di effettuare il prelievo di denaro contante.
E’ un deserto, invece, il Corso Umberto I: la chiusura obbligata dei negozi e lo stop di scuole e università ha cancellato il solito via via di persone, tanto che moltissimi bar che si snodano per questa arteria lungo oltre due chilometri (da piazza Garibaldi a piazza Bovio) hanno deciso di non riaprire. E’ la fotografia amara di questa ‘fase 2’, la fase della ripresa. Lentamente si prova a riconquistare spazi e qualche piccola libertà, come uscire di casa per una passeggiata. Ma il Coronavirus e le misure anti-contagio hanno strappato l’anima alla città di Napoli, privandola della sua vivacità, del suo caos, di quell’allegria che riecheggiava fuori e dentro le attività commerciali.
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lunedì, 4 Maggio 2020 - 14:30
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