Coronavirus, lo Stato impone regole ferree ai privati e dimentica di gestire in modo organico la sua «impresa» Giustizia

Tribunale

Si riparte, con linee guida quasi uguali per tutti. Quasi, perché a poter marcare la differenza sono sempre le regioni. Ma in via generale a livello nazionale ci si è assunti la responsabilità di definire in modo organico le regole che da oggi accompagnano la riapertura dei negozi, dei parrucchieri/barbieri, dei centri estetici, dei bar e ristoranti. A livello nazionale ci si è assunti la responsabilità di imporre alle regioni di viaggiare alla stessa velocità, anche se le critiche non sono mancate e anche se qualcuno ha provato a bruciare le tappe.

L’Italia riparte insieme. Ma non tutta. Per l’ennesima volta il settore Giustizia è tagliato fuori da ogni gestione organica. E per l’ennesima volta il settore Giustizia non ha fatto capolino nella conferenza stampa di sabato sera con la quale il premier Giuseppe Conte ha annunciato il nuovo e tanto atteso step della ‘fase 2’. E pensare che la Giustizia è un servizio pubblico essenziale, peraltro tra i più delicati visto che esso incide quotidianamente sulla società civile. Invece oggi la gestione della ‘fase 2’ della Giustizia, e dunque della celebrazione dei processi, è rimessa nelle mani dei capi degli uffici giudiziari. Con tutte le anomalie che ciò ha prodotto e che da da settimane denunciano la stampa e, in modo particolare, gli avvocati. Se ad esempio a Torino si decide di fare udienza anche di sabato, questo non accade in altri Tribunali. Per non parlare poi del ‘quantitativo’ di udienze che ogni giorno viene celebrato in questo o quel tribunale, o dei criteri di priorità dei procedimenti. 

Ogni Palazzo di Giustizia ha adottato un suo protocollo per la gestione e lo smaltimento delle udienze, con un impatto devastante soprattutto per il settore penale. In termini di organizzazione per gli avvocati è un delirio: chi è costretto, per lavorare, a spostarsi tra un Tribunale e l’altro è obbligato prima ad informarsi sulle linee guida del Palazzo di Giustizia dove deve recarsi. Una situazione paradossale, che denuncia il fallimento dell’«impresa» Giustizia. Un’impresa a conduzione statale. Con lo Stato in grado di imporre regole ferree ai privati e ai cittadini, e pretenderne giustamente il rispetto, ma incapace di governare da solo uno dei suoi delicati apparati. Negozianti e ristoratori, ma anche le grandi industrie, sono stati subissati di protocolli – uguali per tutti – per garantire la sicurezza sui posti di lavoro. E’ stata finanche introdotta l’odiosa clausola del ‘Covid infortuni’ (la responsabilità civile e penale del datore di lavoro in caso di contagio del dipendente), che con buona probabilità sarà revocata. Invece per la Giustizia, in due mesi di lockdown, non si è pensato a nulla.

Lo Stato ha scaricato sui capi degli uffici giudiziari che, in alcuni casi, hanno preferito la prudenza alla ripresa piena dell’attività giudiziaria, finendo inevitabilmente con il creare ampie sacche di scontento soprattutto tra gli avvocati, i più danneggiati sul piano economico. Ci sarebbe stato tutto il tempo per porre rimedio, invece anche nell’ultimo discorso di Conte il settore Giustizia è finito nel dimenticatoio.

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lunedì, 18 Maggio 2020 - 15:41
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