«Gli uomini passano, ma le idee restano», diceva Giovanni Falcone. «Restano le tensioni morali che continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini».
Ventotto anni dopo, Giovanni Falcone è sempre qui. Alle 17.58 del 23 maggio del 1992 i mille chili di tritolo che disintegrarono una parte dell’autostrada per Palermo hanno inghiottito la vita del giudice Falcone (di sua moglie Francesca Morvillo e degli uomini della sua scorta) ma non hanno cancellato il suo impegno, la sua eredità.
Su quel cratere che si aprì nei pressi dell’uscita di Capaci è cominciata la nuova vita di Giovanni Falcone. La sua immortalità. L’immortalità della sua lotta alla mafia, una lotta in cui il giudice Falcone – come pure disse il suo caro amico Paolo Borsellino che pochi mesi dopo venne ammazzato con un’autobomba – finì con il restare da solo, isolato, abbandonato e osteggiato da quei pezzi dello Stato (magistrati inclusi) che alla sua morte, invece, lo hanno portato in gloria.
Giovanni Falcone ha risvegliato le coscienze di una Sicilia sopita, impaurita. Di una Sicilia che preferiva girarsi dall’altra parte. Oggi, invece, nel nome di Falcone e di Borsellino c’è una Sicilia che si espone, che combatte. E’ la Sicilia dei giovani, degli onesti, delle persone perbene che hanno capito il valore della ribellione, che hanno compreso come il silenzio e la rassegnazione possano diventare in qualche modo terreno fertile per il rafforzamento della mafia.
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sabato, 23 Maggio 2020 - 08:53
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