Si trovava in permesso premio e sarebbe dovuto tornare in carcere entro mezzogiorno. Ma Giuseppe Mastini, meglio noto come Johnny lo zingaro, ancora una volta ha fatto perdere le tracce. E la sua evasione scatena polemiche nel mondo penitenziario. Mastini, 60 anni, origini sinti che ne hanno determinato il soprannome, stava scontando la sua pena nel carcere di massima sicurezza di Sassari ma approfittando del permesso non ha fatto ritorno in cella. Così come era già accaduto nel luglio del 2017, sempre da Sassari, e il 30 giugno dello stesso anno da carcere di Fasano, in provincia di Cuneo. Ogni volta, Mastini ha approfittato del regime di semilibertà.
Giuseppe Mastini ha alle spalle una lunga scia di sangue dalla fine degli anni Settanta. Il suo primo omicidio risale a quando aveva solo undici anni. Era stato coinvolto anche nell’inchiesta sulla morte di Pier Paolo Pasolini. Negli anni Ottanta aveva seminato il terrore a Roma. La sua prima evasione risale al 1987 quando, approfittando di una licenza premio, non rientrò in carcere e si rese protagonista di numerosi fatti criminali: furti, rapine, ma anche il sequestro di Silvia Leonardi, l’omicidio della guardia giurata Michele Giraldi, e il ferimento di un brigadiere dei carabinieri, Bruno Nolfi. Fu catturato due anni dopo.
Dopo la sua evasione Vincenzo Chianese, segretario generale di Es Polizia commenta polemicamente: «Autore di numerose rapine a mano armata, coinvolto nel processo per l’omicidio di Pierpaolo Pasolini, condannato per altri due omicidi, tra cui quello dell’agente Michele Giraldi del commissariato romano ‘X Tuscolano’, oggi Giuseppe Andrea Mastini, detto Johnny lo zingaro ancora una volta non è rientrato da un permesso premio».
«Eppure – dichiara Chianese – questo ergastolano durante un permesso premio nel 2014 si era già reso responsabilità di irregolarità e nel 2017 aveva fatto esattamente la stessa cosa. La normativa che consente di uscire dal carcere anche a persone che palesemente non dovrebbero poter circolare va assolutamente cambiata – sottolinea il sindacalista – e non solo per evitare che i familiari delle vittime ogni volta che accadono certe cose avvertano di nuovo lo stesso dolore, ma anche perché la sensazione di impunità che c’è nel nostro Paese mina profondamente la credibilità dello Stato».
Il segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria S.PP. Aldo Di Giacomo spiega come il «tasso di recidiva, di chi evade o commette reati duranti i permessi premio o le diverse premialità, è negli ultimi anni raddoppiato. Questo rende ancora più sconcertante la volontà di ampliamento di detti permessi anche per i detenuti di alta sicurezza che non collaborano con la giustizia. Gli ultimi anni hanno segnato un momento di eccesso di permessivismo per i detenuti ristretti nelle carceri italiane». Serve, continua, «un’inversione di marcia cominciando innanzi tutto da una profonda revisione del sistema dei permessi premio che impedisca il verificarsi di episodi come quello di oggi ma soprattutto un cambio di mentalità che consenta la certezza della pena e che ridia allo Stato quella credibilità che oramai ha perso, ma ancor di più dignità alle vittime ed ai loro familiari».
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lunedì, 7 Settembre 2020 - 08:28
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