Tre livelli distinti di sicurezza, l’analisi dei flussi di corrispondenza, controlli su amicizie e telefonate. E poi ci sono i dettagliati dossier con i riferimenti alle comunità di appartenenza, alle moschee in cui si pregava e alle frequentazioni prima di entrare in cella. In Italia, gli aspiranti jihadisti si combattano anche in carcere. Sì, perché c’è un rischio chiamato radicalizzazione islamica che arriva direttamente dagli istituti di detenzione dove i ‘potenziali’ terroristi possono fare proselitismo poco prima di tornare in libertà. Il Dipartimento amministrativo penitenziario (Dap) non fa allarmismi, ma ha preso provvedimenti seri per limitare il fenomeno.
I livelli di attenzione
Il trattamento dei detenuti a rischio è strutturato in tre diversi livelli di rischio. Il primo livello – classificato alto – raggruppa i soggetti per reati connessi al terrorismo internazionale e quelli di particolare interesse per atteggiamenti che rilevano forme di proselitismo, radicalizzazione e reclutamento.
Il secondo livello – classificato medio – raggruppa i detenuti che all’interno del penitenziario hanno posto in essere più atteggiamenti che fanno presupporre la loro vicinanza alle ideologie jihadista e quindi, ad attività di proselitismo e reclutamento.
Il terzo livello – classificato basso – raggruppa quei detenuti che, per la genericità delle notizie fornite dall’Istituto, meritano approfondimento per la valutazione successiva di inserimento nel primo o secondo livello ovvero il mantenimento o l’estromissione dal terzo livello.
Il controllo nelle mani degli agenti della polizia penitenziaria
Le idee ci sono e sono anche buone. A mancare, però, sono le armi. Tutta l’attività di identificazione dei soggetti che hanno iniziato un processo di radicalizzazione, infatti, è nelle mani della polizia penitenziaria. Sono gli agenti, già costretti a lavorare in condizioni precarie, a dover scoprire gli aspiranti jihadisti. Il Dap ha organizzato un corso di aggiornamento professionale e ha fornito indicazioni precise su come agire e cosa osservare ma è tutto legato alla ‘sensibilità’ del personale. Gli imput da seguire sono chiamati ‘indicatori sulla radicalizzazione’ e riguardano i cambiamenti fisici (modo di vestire, crescita della barba); e i cambiamenti comportamentali (intensificazione della preghiera, ostilità nei confronti del personale, e isolazionismo). Questi elementi costituiscono dei validi strumenti conoscitivi e concorrono nella definizione del profilo personologico del detenuto potenzialmente esposto ad una azione di indottrinamento ideologico. Ma scoprirli è cosa complessa.
La denuncia dei sindacati
Da tempo le organizzazioni sindacali che rappresentano gli agenti di polizia penitenziaria denunciano difficoltà nel capire e riconoscere i comportamenti di chi ha intrapreso un percorso di radicalizzazione islamica. «Purtroppo mancano i mediatori culturali e chi conosce la lingua – ha spiegato Ciro Auricchio, segretario dell’Uspp della Campania – in questo modo il nostro lavoro diventa difficile. Per fortuna in Campania e a Napoli il problema è meno sentito che nel nord Italia, i detenuti di fede islamica sono in misura minore, ma non possiamo nascondere che c’è un fenomeno che va combattuto e che i mezzi sono pochi».
I soggetti a rischio, i dati
Secondo i dati diffusi con l’ultima relazione del Dap, i soggetti attualmente sottoposti al primo livello di analisi sono complessivamente 242, a cui si aggiungono 114 sottoposti al secondo livello e 150 al terzo livello, per un totale di 506 individui. E’ inoltre emerso che i detenuti ristretti per il reato di terrorismo internazionale, che rientrano tra il 242 primo livello sono 62, di cui 4 con posizione giuridica definitiva, 16 appellanti, 9 ricorrenti, 30 giudicabili, 2 con posizione giuridica mista con definitivo e 1 con posizione giuridica mista senza definitivo. Dei 62 detenuti per reati di terrorismo, 19 sono ristretti presso la Sezione di Alta Sicurezza 2 del penitenziario di Rossano; 11 presso a Nuoro; 26 presso a Sassari; uno nel carcere di Lecce, 1 presso la casa circondariale di Brescia, due a Torino e due a Ferrara.
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giovedì, 5 Aprile 2018 - 17:04
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