Se avesse chiamato i soccorsi, il suo bambino si sarebbe potuto salvare. Avrebbe potuto ricevere le cure necessarie dopo il brutale pestaggio subito.
Una nuova perizia, disposta dai giudici della seconda sezione della Corte d’Assise d’Appello di Napoli (presidente Alfonso Barbarano), ridisegna i contorni della dolorosa storia della morte del piccolo Giuseppe Dorice, massacrato di botte e ucciso dal patrigno Tony Badre a Cardito (era il 27 gennaio 2019).
La perizia ha posticipato di un’ora il decesso del piccolo – rispetto all’esito dell’esame autoptico – ed ha così riacceso i riflettori sul ruolo di Valentina Casa, la madre del bambino, accusata dalla procura di non avere mosso un dito per salvare suo figlio dalla furia brutale del compagno.
Sulla base dei risultati dell’esame autoptico analizzati durante il primo grado di giudizio si era ritenuto che il decesso causato dai danni inferti fosse sopraggiunto a distanza di una mezz’oretta dalle percosse, dopo un’emorragia e un periodo di coma. Con la nuova perizia si ritiene invece che la morte del piccolo sia sopraggiunta a distanza di 5-6 ore dall’ultima aggressione (ne aveva subita una anche la sera prima). I due consulenti nominati dall’autorità giudiziaria, che ha accolto le richieste del legale di Badre, l’avvocato Pietro Rossi (il quale ha sempre sostenuto che il calcolo dell’ora della morte del piccolo fosse errata), ritengono anche che la morte non sia stata causata, come finora ritenuto, da un danno assonale diffuso «determinato dai ripetuti colpi inferti sul cranio anche con mezzi contundenti che ne avrebbe causato il decesso con fenomenologia di eventi rapida e infausta». Giuseppe sarebbe invece sarebbe morto «per arresto cardio-respiratorio a seguito di lesione diretta del tronco-encefalico, sede anatomica dei relativi centri nervosi regolatori». Tutto preceduto, secondo i testi di neurologia citati nella perizia, da sopore, torpore, assenza di reattività agli stimoli esterni e dolorosi fino a uno stato di coma con deficit motorio.
«Le lesioni rilevate in corso di esame autoptico – scrivono i due consulenti nella loro perizia – e il tempo trascorso tra l’aggressione e il decesso erano sufficienti a garantire il ricorso a cure adeguate… la catena di eventi fisio-patologici, determinata dalla lesione celebrale, poteva essere gestita…» ma «…al piccolo Giuseppe Dorice venne negata ogni possibilità di recupero terapeutico e di sostegno». Quindi, secondo i due medici, «…la mancata richiesta di intervento dalle ore 8-9 alle ore 13-14 costituisce una gravissima negligenza da parte di chi aveva oggettivamente la possibilità di farlo quale figura di garanzia nell’ambito della responsabilità genitoriale».
Le conclusioni della perizia potrebbero pregiudicare la posizione processuale di Valentina Casa, che in primo grado era stata condannata a sei anni di reclusione solo per il reato di maltrattamenti sia nei confronti di Giuseppe che dell’altra figlia, Noemi, che riuscì a sopravvivere al brutale pestaggio (rimase in ospedale diverse settimane). I giudici della terza sezione della Corte d’Assise la mandarono assolta dall’accusa di concorso in omicidio (la procura le attribuiva il concorso per via dell’inerzia mostrata durante e dopo il pestaggio). Tony Badre, invece, fu condannato alla pena dell’ergastolo. Si torna in aula il 30 marzo.
mercoledì, 16 Marzo 2022 - 18:03
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