Tre anni in carcere e viene assolta, la Cassazione nega il risarcimento danni alla sorella dei boss Graviano

Cella Carcere

Era stata accusa di avere gestito il patrimonio dei fratelli detenuti e per questo aveva trascorso tre anni, 4 mesi e 15 giorni in carcere. Ma a processo l’accusa è caduta e lei è stata assolta con la forma «per non aver commesso il fatto». Un verdetto che ha spinto Nunzia Graviano, la sorella 54enne dei capomafia stragisti Giuseppe e Filippo (entrambi all’ergastolo) ad avanzare una richiesta di risarcimento danni per l’ingiusta detenzione patita dal 29 novembre 2011 al 13 aprile 2015. 

L’istanza è stata però respinta dalla Corte di Cassazione che ha confermato la valutazione della Corte di appello di Palermo, quale giudice della riparazione. I giudici, come emerge dall’ordinanza del 25 maggio 2021 condivisa dagli ‘ermellini’ – rilevarono che vi erano stati «plurimi e perduranti» rapporti della Graviano con membri del clan mafioso di Brancaccio, uomini come Cesare Lupo, Giuseppe Arduino e Giuseppe Faraone, che andavano fino a Roma, dove la donna gestiva un bar in Via Tripolitania, per incontrarla. Anche brevemente, per una ventina di minuti, compresa la notte di Natale del 24 dicembre 2010. Secondo le dichiarazioni di alcuni pentiti, in quelle circostanze alla sorella dei boss venivano dati i soldi degli affitti di beni appartenenti ai fratelli Graviano.

Per la Cassazione, questo via vai da Palermo a Roma, anche se non è sfociato in una sentenza di condanna, «non lascia dubbi sulla rimproverabilità» nei confronti di Nunzia Graviano di «una condotta tale da legittimare pienamente il provvedimento restrittivo». «Ella ha infatti svolto quel ruolo almeno sinergico, non altrimenti giustificato dalla stessa Graviano in occasione del suo interrogatorio, nel determinare la misura restrittiva che per il legislatore – sottolinea la Cassazione – esclude, appunto, il diritto alla riparazione». In sostanza il comportamento della donna e’ stato di “pericolosa connivenza, e quindi di colpa grave, ostativa al riconoscimento” dell’indennizzo da lei richiesto. Per perorare il ‘no’ all’indennizzo, l’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Ministero delle Finanze, si e’ costituita davanti alla Suprema Corte. 

mercoledì, 3 Agosto 2022 - 12:47
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