Aveva 70 anni, una malattia che non gli avrebbe dato scampo e un debito con la giustizia da saldare. Camillo Corallo era recluso nella casa circondariale di Poggioreale. Chiedeva di tornare a casa, perché le sue condizioni di salute erano gravi, ma dal Tribunale di Sorveglianza non è arrivata quella scarcerazione pure invocata. Camillo Corallo è morto ieri in cella. Un decesso che ha spinto il Carcere Possibile onlus a un atto di denuncia pubblico che raccogliamo e pubblichiamo di seguito:
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È capitato una volta ancora.
Un Collega riceve un’asettica mail con la quale viene avvisato del decesso di un suo assistito. In pochi secondi il dolore, la compassione, la vicinanza ai familiari, vengono scavalcati dal più subdolo dei nemici di un avvocato: il dubbio di non aver fatto abbastanza.
E ci si pone a ripercorrere tutta la strada che ha portato anche Camillo Corallo – detenuto, padre, marito – a morire in condizioni disumane.
E può succedere che, nonostante si riesca a ricostruire ogni singolo centimetro della storia, fatto di istanze, solleciti, certosino controllo dello stato della procedura, il dubbio continui ad aleggiare.
C’è un momento, poi, in cui si recupera la lucidità e si realizza l’essenza oltraggiosa: ad un malato terminale non è stato concesso di morire dignitosamente. E questo,senza perifrasi, solo perché non si è avuto il tempo o la voglia – in un mese_ di redigere un provvedimento di poche righe per l’adozione del quale esistevano tutti i presupposti di Legge.
Non è più nemmeno la stolida impermeabilità ad istanze che hanno a cuore la dignità di un uomo nel momento della sua morte.
Troppi provvedimenti di rigetto abbiamo letto, redatti da chi scambia il riconoscimento di un diritto fondamentale, anche di un detenuto, per buonismo e indulgenza, forse indigesta all’opinione pubblica.
Un atto di forza che manifesta la debolezza di Chi rappresenta lo Stato e dello Stato tutto.
Questa volta, con Camillo Corallo, noi tutti abbiamo fatto un altro passo verso il baratro. Non un inconprensibile rigetto, ma il silenzio.
Un silenzio di 29 giorni a fronte della inoppugnabile e dimostrata certificazione della gravità.
Gli esposti alla Procura, al CSM, diverranno presto materiale di archivio e carta (o files) che non riusciranno mai a raccontare gli ultimi drammatici giorni di Camillo Corallo.
In un paese, in un tribunale, dove il detenuto affida la sua ultima fiche della sua vita processuale alla roulette russa della assegnazione tabellare ad un magistrato di sorveglianza, l’ultima – minimale e residua – speranza, è che quei 29 giorni di incomprensibile inerzia si trasformino in 29 minuti -o anche meno- di dubbio, di autocritica, di presa di coscienza.
sabato, 22 Luglio 2023 - 16:34
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