Messina Denaro è in rianimazione. Ai pm: «Sapevo dove mettevate le telecamere. Io un criminale onesto». Il boss è stato operato martedì pomeriggio nell’ospedale dell’Aquila. Il ricovero d’urgenza per un blocco intestinale era avvenuto a poche ore di distanza dall’appello lanciato dai suoi avvocati, la nipote Lorenza Guttadauro e Alessandro Cerella del foro di Vasto, sull’aggravamento del quadro clinico: sono pronti a presentare al Tribunale della Libertà una istanza di sospensione della misura cautelare con ricovero in ospedale dove poter ricevere una migliore assistenza.
Messina Denaro dovrebbe restare ricoverato per alcuni giorni nel reparto di Rianimazione, dove secondo i sanitari è «vigile e attivo». Le sue condizioni sono serie, essendosi aggravate negli ultimi tempi, ma non corre un imminente percolo di vita. Non si sa ancora se, uscito dalla terapia intensiva, verrà poi trasferito nella cella ospedaliera dell’ospedale dell’Aquila oppure riportato direttamente nel carcere di massima sicurezza di Preturo, distante sette chilometri dal nosocomio.
Nelle stesse ore del ricovero sono emersi i contenuti del primo interrogatorio reso il 13 febbraio scorso dal boss al procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, e all’aggiunto Paolo Guido. Dai verbali spuntano importanti elementi sui 30 anni di latitanza, conclusa con l’arresto a Palermo il 16 gennaio scorso. Prova a scagionare il geometra Andrea Bonafede, che gli ha prestato l’identità, e il medico Alfonso Tumbarello («non sa niente»).
I toni di Messina Denaro sono spesso provocatori, ai limiti della tracotanza. «Mi avete preso per la malattia, senza non mi prendevate» perché «vivevo da caverna». L’ex primula rossa torna a negare omicidi – quello del piccolo Giuseppe Di Matteo – attaccando il pentito Giovanni Brusca e il giornalista Massimo Giletti («ha detto che io partecipato all’omicidio di don Pino Puglisi»). Smentisce la stessa affiliazione a Cosa Nostra. «Mi sento uomo d’onore» ma «non come mafioso».
Il boss di Castelvetrano ha due certezze: «Non mi farò mai pentito» e «sempre morto sono perché non sono più operabile». Su altri pentiti come Francesco Geraci, il ‘gioielliere di Castelvetrano’ suo amico d’infanzia (poi deceduto), afferma che «arrivava ai processi e diceva che sono stato il suo calvario» eppure «io ho sempre saputo dov’era» ma «non l’ho ucciso e nemmeno lo ho fatto uccidere» perché «mi definisco un criminale onesto». Sui 30 anni da inafferrabile, si fa spavalado: sostiene che conosceva la posizione di «tutte le telecamere di Campobello e Castelvetrano» grazie a una rete di informatori e «amici miei che non dico», che lo avvisavano quando un maresciallo dei Ros, sempre lo stesso, ne installava di nuove.
Alla domanda su chi siano questi amici non risponde e scherza: «Se tutti quelli che hanno avuto da fare con me, dovete fare qualche carcere nuovo». Gli informatori, secondo lui, non sarebbero stati delle istituzioni. E poi avrebbe scoperto le videocamere in un altro modo: «Ho l’aggeggio che le cercava, che non l’avete trovato». L’interrogatorio si ferma sulla sua ‘morale’ da sottoporre ai magistrati. «Era giusto che io andassi in carcere se mi prendevate – dichiara -. Ma una domanda così che lascia il tempo che trova: ma cosa è cambiato secondo lei? C’è una corruzione fuori, una corruzione fuori indecente».
giovedì, 10 Agosto 2023 - 14:51
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