Addio a Michela Murgia, la scrittrice che si batteva per i diritti e contro le ‘gabbie’ della società

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La scrittrice Michela Murgia

Il suo tempo terreno è scaduto. Come sapeva, come aveva raccontato pubblicamente negli ultimi mesi scrivendone anche un libro, l’ultimo della sua storia professionale, ‘Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi’. Michela Murgia, 51 anni, si è spenta oggi a Roma. La scrittrice e attivista femminile era malata di un carcinoma al quarto stadio. Nessuna possibilità di salvezza, nessuna speranza di potercela fare. Così lei ha vissuto gli ultimi mesi circondata dall’affetto delle persone amate (a giugno ha annunciato il ritiro dagli incontri pubblici) e contemporaneamente affidando all’opinione pubblica alcuni dei suoi momenti privati che però possono essere i momenti di ciascuno di noi.

Dolori, battaglie, burocrazia miope. Impegno politico. A metà luglio Michela Murgia ha sposato ‘in articulo mortis’ Lorenzo Terenzi, attore, regista e musicista. Un matrimonio civile per cui non ha voluto auguri perché «Io e Lorenzo abbiamo firmato un contratto con lo Stato per avere diritti che non c’era altro modo per ottenere così rapidamente (…) Lo abbiamo fatto controvoglia: se avessimo avuto un altro modo per garantirci i diritti a vicenda non saremmo mai ricorsi a uno strumento così patriarcale e limitato, che ci costringe a ridurre alla rappresentazione della coppia un’esperienza molto più ricca e forte, dove il numero 2 è il contrario di quello che siamo. Niente auguri, quindi, perché il rito che avremmo voluto ancora non esiste. Ma esisterà e vogliamo contribuire a farlo nascere».
La ‘non festa’ (come ci ha tenuto ha sottolineare) c’è stata, nello stile Murgia. Ogni dettaglio della giornata è stato pensato per deostruire la simbologia classica dei matrimoni. Tutti gli invitati, non solo gli sposi, indossavano abiti bianchi. «Completamente bianca per tutti – spiegava in un post – de-sacralizza il colore nuziale, che cambia significato: il bianco è inclusivo, sintesi additiva di tutti i colori dello spettro». Una sorta di manifesto politico anti patriarcato, la ‘non festa’, con la scritta ‘God save the queer’ ricamata con perline rosso sul suo abito fatto per lei da Maria Grazia Chiuri, la stilista di Dior.

Murgia non ha mai nascosto critiche alle ‘gabbie’ della società. Definiva la sua una famiglia queer, e contestava il «governo fascista che per le famiglie non riconosce altro modello che il suo». Non aveva figli naturali, ma di questa famiglia qeer facevano parte anche i suoi 4 ‘figli dell’anima’: Raphael Luis, Francesco Leone, Michele Anghileri e Alessandro Giammei. «Camminiamo verso altre notti insonni a raccontarci i segreti, a immaginare nuovi orizzonti, a prenderci cura delle persone che amiamo. Benvenuta nella nostra nuova vita. Bentornata a casa, Shalafi amin», scrive Francesco Leone sui social come omaggio a Michela che non c’è più. «Ciao bella», le parole di Alessandro Giammei. Vita vera e impegno politico, battaglie. Murgia non solo ‘denunciava’ ma aveva pure cercato di entrare nel ‘sistema’ con l’obiettivo di cambiarlo. Nel 2014 si è presentata come candidata alla presidenza della Regione Sardegna, arrivando terza con il 10% circa delle preferenze. Successivamente, alle elezioni europee del 2019, ha sostenuto La Sinistra (LS).

Nata nel 1972 a Cabras, un piccolo comune in provincia di Oristano in Sardegna, Michela Murgia è stata un’intellettuale, scrittrice, drammaturga e opinionista, che ha percorso un’importante carriera letteraria segnata da romanzi, racconti, saggi e articoli.

Alle spalle una formazione cattolica, Murgia è stata da sempre impegnata nella battaglia per i diritti e la parità di genere. Prima di dedicarsi all’attività di scrittrice ha svolto diversi lavori, tra cui insegnante di religione, poi portiera di notte e venditrice telefonica, consulente fiscale e dirigente in una centrale termoelettrica. Le sue esperienze sono poi divenute fonte di ispirazione per i suoi libri: dalla sua esperienza come venditrice telefonica è nato Il mondo deve sapere (2006), romanzo tragicomico sul mondo dei call center, che ha ispirato l’opera teatrale omonima e il film Tutta la vita davanti (2008). Molto legata alla sua terra, nel 2006 ha dato vita al blog Il mio Sinis per raccontarne i luoghi meno noti, nel 2008 aveva firmato Viaggio in Sardegna (2008). Due anni dopo è uscito Accabadora, premio Super Mondello e premio Campiello, considerato il suo capolavoro, storia di un’anziana donna che in un villaggio sardo dà di nascosto la morte ai malati gravissimi che gliela chiedono, e di una bambina che la donna adotta e che scopre a poco a poco il vero scopo delle uscite notturne della madre adottiva. Nel 2011 Ave Mary, riflessione senza filtri sul ruolo della donna nel contesto cattolico. Tra le sue opere successive il saggio breve sul femminicidio L’ho uccisa perché l’amavo. Falso!; e ancora Futuro interiore, L’inferno è una buona memoria, il saggio Istruzioni per diventare fascisti, Noi siamo tempesta. Storie senza eroe che hanno cambiato il mondo. Stai zitta, God save the queer. Catechismo femminista e infine l’ultimo Tre ciotole – Rituali per un anno di crisi, entrato subito in testa alle classifiche di vendita: un romanzo che si apriva sulla diagnosi di cancro, un romanzo fatto di storie che si incastrano e in cui i protagonisti stanno attraversando un cambiamento radicale che costringe ciascuno di loro a forme inedite di sopravvivenza emotiva.

venerdì, 11 Agosto 2023 - 10:29
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