Una vita in prima linea, Nicola Gratteri è il magistrato antimafia più scortato d’Italia e da più anni. Il neo procuratore capo di Napoli, infatti, conduce un’esistenza blindata dal 1989. All’epoca era in magistratura da appena 3 anni, ma le sue inchieste già facevano rumore. La sua prima indagine aveva provocato le dimissioni dell’assessore alla Forestazione e fatto cadere la Giunta regionale calabrese. Negli anni il livello di tutela si è innalzato, toccando il massimo. La ‘ndrangheta gliela ha giurata, non è certo un mistero. Nato il 22 luglio 1958 a Gerace (Reggio Calabria), nella Locride, Gratteri è terzo di cinque figli. Dopo aver conseguito la maturità scientifica, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza all’Università di Catania. Si laurea in quattro anni e due anni dopo entra in magistratura.
Popolarissimo per il ruolo di nemico numero uno delle ‘ndrine, non si è mai negato a tv e manifestazioni pubbliche per la legalità. Una scelta dettata forse dalla consapevolezza di dover comunicare, e sensibilizzare i cittadini, nella lotta quotidiana contro i poteri criminali. Dei legami tra criminalità organizzata e colletti bianchi, del resto, ha iniziato a occuparsi molto presto. Si ricordano le indagini da pm a Locri, negli anni ’90, sugli intrecci tra ‘ndrangheta, politica, massoneria. Inchieste scottanti, che ne fanno un magistrato a rischio. Nel 1993 sono ben tre gli attentati sventati, nel giro di tre settimane. E nel giugno 2005, il Ros dei Carabinieri scopre nella piana di Gioia Tauro un arsenale di armi, pare destinato a lui: un chilo di plastico con detonatore, lanciarazzi, kalashnikov, bombe a mano.
Nel 2009 il primo incarico semi direttivo, con la nomina a procuratore aggiunto di Reggio Calabria. E il 21 aprile 2016 diventa procuratore capo a Catanzaro, ufficio ricoperto sino a oggi. Lunghissima la lista di inchieste contro le cosche. Tra le altre, si ricorda quella sulla strage di Duisburg del 2007. Oppure il maxi procedimento Rinascita Scott.
Ma Gratteri viene dipinto, da sempre, come una toga fuori dalle correnti della magistratura, e nemmeno inquadrabile in un’area politica. La politica, tuttavia, ne apprezza le competenze tecniche. Nel giugno 2013, il premier Enrico Letta lo nomina componente del corpo di esperti per l’elaborazione di proposte in tema di lotta alla criminalità organizzata. Nel febbraio 2014, il nuovo presidente del consiglio Matteo Renzi vorrebbe farne il guardasigilli. Ma sull’arrivo di Gratteri in via Arenula sembra cali il veto del Colle, dove regna Giorgio Napolitano. Lo stesso anno Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia, nomina Gratteri consigliere dell’organismo parlamentare. Renzi, dal canto suo, dà al magistrato calabrese la presidenza della commissione per l’elaborazione di proposte normative in tema di lotta alle mafie.
Prima di candidarsi alla Procura di Napoli, Gratteri tenta la strada della Dna. Ma nel maggio di un anno fa il plenum del Csm, con 13 voti contro 7, gli preferisce l’allora procuratore di Napoli, Giovanni Melillo, nella corsa a procuratore nazionale antimafia. Napoli, in qualche modo, era nel destino di Gratteri. Nella proposta di delibera al plenum del Csm, per la Procura partenopea, c’è anche la relazione del pg di Catanzaro, Giuseppe Lucantonio, già procuratore aggiunto con Melillo in Campania. «Gratteri è magistrato di eccezionale esperienza e di eccellente capacità investigativa – scrive il procuratore generale – oltre che di elevatissima preparazione giuridica, in ogni settore, e, più specificatamente, nel settore della criminalità organizzata di tipo ‘ndranghetista e del traffico internazionale di sostanze stupefacenti (sono centinaia le rogatorie curate dal medesimo e frequentissimi sono i suoi rapporti con le autorità giudiziarie e le polizie degli altri Paesi)». A Napoli lo attende un lavoro enorme, pari almeno alle aspettative della cittadinanza.
mercoledì, 13 Settembre 2023 - 19:22
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